E all’empatia, Molino Quaglia ha dedicato l’edizione numero 14 di PizzaUp alla scuola a Vighizzolo d’Este in provincia di Padova.
Tema difficile, perché per i presenti, tutti pizzaioli, si è trattato di andare ben oltre la realtà nella quale sono calati da sempre. La giornalista Cristina Viggè ha sintetizzato molto bene questo agganciandosi alla celeberrima pipa/non pipa dipinta da René Magritte. Come quella non era una pipa autentica, caricabile e fumabile, perché era un disegno, così è venuto spontaneo affermare che Ceci n’est pas une pizza. Solo che nel caso dell’evento promosso dai Quaglia, le pizze sono reali come quelle che i partecipanti pensano e preparano, cuociono e servono in pratica ogni giorno.
A lanciare la tre giorni di Vighizzolo Massimo Donà, lì come filosofo e non come musicista jazz, la tromba il suo strumento. E’ stato lui, prima giornata, prima lezione a dare il via con parole che hanno fatto capire a tutti che si sarebbe trattato di volare alti, lungo rotte nuove, ben diverse dal passato:
«Dovreste, tutti voi, scrivere nel vostro locale che quel posto non è una pizzeria e che ciò che stanno mangiando non è una pizza, non è solo una pizza. Vi guarderanno stupiti ma quel “non” racchiude il mistero della vita».
Professore all’università Vita e Salute del San Raffaele a Milano, le sue parole non sono scivolate via. Impossibile quando uno esordisce affermando che «mangiare una pizza non è un gesto innocente», cosa che invece pensano quasi tutti, non capendo che bisogna essere preparati nell’avvicinarsi al più italiano dei piatti di casa nostra. Parola chiave: empatia.
Esistono tre livelli, modi diversi di essere empatici:
«Il primo è il fare a meno di qualcosa di sé e prestare attenzione alle esigenze dell’altro. Alla fine il rischio che si corre è quello di non essere più se stessi. Di dover rinunciare alla propria specifica diversità. Poi esiste un livello al quale troviamo un elemento comune. E’ un territorio di mezzo. Si conserva un certo margine ma è anche una posizione schizofrenica perché, non essendo più se stessi ma nemmeno l’altra figura, si smarrisce un’identità».
L’empatia giusta è racchiusa nella terza forma, la più autentica perché ci arricchisce a livello di identità e capita quando una persona capisce «che ciò che è diverso da se stessi non è solo diverso, ma è ciò che ci fa diventare più noi stessi di quello che siamo già. Così, quando noi mangiamo, portiamo dentro di noi il mondo esterno, che entra a far parte intimamente di noi e alla lunga diventiamo più autentici».
Quindi la pizza che in verità non è pizza va intesa come il non arrivare mai a sapere tutto, il far comprendere al cliente che ogni margherita fissa un momento e non sarà mai la stessa della prossima visita perché il mondo del pizzaiolo si sarà arricchito nel frattempo. L’esatto contrario di un prodotto industriale e standardizzato.
E il terzo giorno, gran chiusura con la presentazione del primo volume dell’Almanacco della Pizza che raccoglie “anime originali che scrivono la storia della pizza”. Come scrivono Chiara Quaglia e Piero Gabrieli nell’introduzione:
«Ci attraggono e attraiamo i contestatori, persone di grande passione e vista lunga, che si mettono in gioco contro chi sta a guardare senza mai esporsi e vivono il cambiamento per dare al passato valore contemporaneo. In questo Almanacco ci sono 13 pizzaioli di questo tipo, a partire da colui che ha fatto scoccare la prima scintilla».
Ovvero Simone Padoan, salutato da un applauso che pareva non finire mai. E in scia al veneto, Gennaro Battiloro, Renato Bosco, Marco Farabegoli, Daniele Donatelli, Massimo Giovannini, Massimiliano Prete, Lello Ravagnan, Giuseppe Rizzo, Giovanni Santarpia, Corrado Scaglione, Friedrich Schmuck e Massimo Travaglini.
Le loro storie sono state scritte da Cristina Viggè con un testo di chiusura di Corrado Assenza e foto di Thorsten Stobbe.
Paolo Marchi
fonte: https://www.identitagolose.it/sito/it/209/24607/mondo-pizza/pizzaup-la-parola-vincente-empatia.html?
Foto di Thorsten Stobbe
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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