Vighizzolo d’Este, meno di mille abitanti, la provincia è quella di Padova ma il capoluogo più vicino è Rovigo, terra piatta e ricca di campi, canali e fossati, se sono giornate e notti di nebbia meglio avere altri programmi. Non appena si lasciano autostrade e tangenziali, il nastro d’asfalto sembra più stretto del cofano della propria vettura e in certi punti, se incroci qualcuno che sopraggiunge in senso contrario, rallenti perché temi che non vi sia spazio per due mezzi.
A inizio settimana sole splendido e visibilità perfetta. Bene perché un centinaio di persone erano state chiamate a raccolta da Chiara Quaglia e Piero Gabrieli, coppia sul lavoro e nella vita privata, per la quinta edizione di Pizza Up, simposio che il Molino Quaglia organizza all’interno della sua vecchia struttura, abbandonata quando venne eretta quella nuova al di là di via Roma, e da poco finita di ristrutturare in chiave museo (anche d’arte), sede didattica e anche ristorativa perché presto entrerà in funzione una pizzeria a tempo pieno.
Tre giorni a illustrare, ragionare e discutere di pizza, ovvio, e di Pizzeria Dinamica, meno ovvio perché si tratta di un nuovo concetto di pizzeria, un percorso che va oltre farine, lieviti e impasti, mozzarelle, pomodori e guarnizioni per abbracciare la stessa essenza gestionale ed espressiva di un locale. Il tutto pensato anche per rispondere alla crisi economica in maniera nuova e sprintosa.
Questo è importante perché tanti, troppi pensano che la risposta giusta sia abbassare prezzi e qualità, per poi agire di conseguenza. Non che si cerchino giustificazioni, orpelli, per tenere alti i prezzi. Lungo un percorso durato un lustro, si è invece giunti a definire un nuovo modello di insegna che possa garantire qualità autentica e conto corretto, dando modo a chi ha frequentato i vari corsi dell’Università della Pizza di pensare nuovo e alto.
E dopo la cena curata martedì dai fratelli Nicola e Luigi Portinari della Peca di Lonigo (Vicenza), quattro atti bagnati dalle bollicine Contadi Castaldi, dal Tuorlo d’uovo croccante con cavolo nero alla Meringa al caffè e semifreddo di mascarpone con tisana balsamica, mercoledì parole e bocconi. Prima lungo confronto tra esperti e giornalisti attorno alla Nuova Pizza Italiana e poi dieci modi di intendere la pizza italiana, dieci ricette pensate da Corrado Assenza (Caffè Sicilia a Noto – Siracusa) e realizzate da altrettante squadre e giudicate da cinque critici secondo appetibilità, struttura e gusto. Niente somma di voti e quindi nemmeno una classifica.
Non era questo il fine, anche perché erano preparazioni ben diverse tra loro per prodotti, farine, forni (elettrico o a legna), dimensioni, forme.
Giornata davvero importante perché ha confermato come quello della pizza sia un mondo in pieno fermento e grande movimento, del quale tutt’attorno si sa in fondo ben poco e che, per fortuna, va ben oltre la retorica a tutta pummarola che ci accompagna da decenni.
Nella circostanza, forte delle farine Petra prodotte dal Molino Quaglia, Assenza ha messo nero su bianco dieci tappe per arrivare alla fine a comporre la Pizza per l’Italia, dieci spicchi delle dieci differenti singole pizze servite.
Poi, siccome una pizza una storia e una forma, è ovvio che la “pizza” finale era l’impossibile somma di dieci sagome diverse, cosa che ha fatto dire a Luciano Pignataro “è proprio come l’Italia: un casino”. E non perché siamo la sola nazione a essere suddivisa per regioni, province e comuni, ma perché sembra sempre più difficile parlare, ragionare e muoversi in armonia, come un sistema.
Grazie anche al coordinamento di Simone Padoan, abbiamo assaggiato, secondo un logico ordine gustativo, Pizza soffice in teglia, Pizza stesa croccante, Pizza cotta nel pizz’ino (un brevetto di Giuseppe Giordano, del tegamino rimane solo il bordo e così il fondo della platea – il disco di pane – cuoce direttamente sulla pietra), Pizza in padellino, Pizza stesa soffice, Pizza al metro (brevetto Luigi dell’Amura) alla pala, Pizza con impasto tradizionale napoletano, Pizza croccante in teglia, Pizza romana alla pala (è cugina di quella al metro), infine Pizza con impasto integrale tradizionale Tramonti (il comune salernitano culla di pizze e pizzaioli, ndr).
Ogni team aveva il suo capitano, rispettivamente Roberto Ghisolfi (Pizzeria Lo Spicchio a Cremona), Ruggero Ravagnan (Grigoris a Mestre), Giuseppe Giordano (Piedigriotta2 ad Alessandria), Fabrizio e Marcello Pasinelli (Al Castello a Cividate al Piano – Bergamo), Beniamino Bilali (Berberè a Castelmaggiore - Bologna), Igor Peresson (Picerija Etna a Divica – Slovenia), Gianfranco Iervolino (Lucignolo Bella Pizza a Boscotrecase - Napoli), Massimo Gatti (I Due Gatti, Massimo e suo fratello Dino, a Borgo Val di Taro – Parma), Renato Bosco (Pizza da Re a San Martino Buon Albergo - Verona) e Carmine Nasti (Pizzeria Capri a Bergamo).
A Ghisolfi è toccata la pizza Mozzarella di bufala doppia, marmellata di pompelmo rosa e peperoni agrodolci; a Ravagnan quella Cozze e ceci, ricotta di capra e scorza di limone bio; per Giordano e il suo pizz’ino (è la contrattura di pizza al tegamino) ecco patate a rondelle, sgombro cotto in extravergine, origano, capperi (desalati) e poco fiordilatte. Con Pasinelli ecco Baccalà e cavolfiore con timo, con Bilali (quinta pizza servita) Pomodoro, acciughe, mozzarella di bufala, pan grattato tostato, origano, zenzero fresco, scorza e succo di limone) e con Perersson ecco Pomodoro e peperoni grigliati, mozzarella di bufala e olive schiacciate.
Nel segno di Napoli, con Iervolino non potevano non avere nel piatto Pomodoro, mozzarella di bufala, porro, olive e pomodoro secco, mentre a Gatti è toccata l’innovazione assoluta perché mai mi sarei aspettato una Pizza con polenta (a cubetti croccanti) e robiola di Roccaverano Arbiora su base mozzarellosa.
Note forti per Renato Bosco: Carciofi, pecorino e pepe nero macinato al momento, in pratica il felice matrimonio tra i Carciofi alla giudia e la Pasta cacio e pepe. Gran finale con Nasti e la Pizza fiordilatte e pasta di salsiccia di suino di Cazzamali.
Spigolando qua e là: grandissima attenzione a impasti e lievitazioni, in certi frangenti persino eccessiva perché andava a scapito del gusto complessivo. La tradizione può risultare una gabbia perché non sempre “così faceva mio padre e prima di lui mio nonno e prima ancora il bisnonno” è sinonimo automatico di qualità contemporanea.
Uso quest’ultimo aggettivo, contemporaneo, perché se nel tempo variano le motivazioni che ci spingono a mangiare una pizza, mutano anche i parametri per giudicarla. Al di là infatti di quanto sia ben fatto ogni singolo ingrediente in sé, poi anche l’impasto e la lievitazione, la guarnizione e il condimento, un conto era mangiare per tappare una voragine in uno stomaco affamato e un altro è sedersi a tavola per sfamarsi quotidianamente e magari pure deliziarsi. La verità di ieri oggi è una bestemmia.
E ancora il pomodoro: le pizze che lo presentano catturano più facilmente l’attenzione e risultano più invitanti, quelle bianche o grigie sono di minor impatto e viene meno immediato gustarle. Se la cornice è una signora cornice è un gran buon mangiare. Le bruciature della pasta non sono proprio gradite, danno fastidio. Il forno a legna è fascinoso, stregante ma quello elettrico, se usato da figure esperte, non è l’inferno.
Mangiare una pizza senza mai usare le mani, solo forchetta e coltello, è da masochisti.
Di tutte e dieci le proposte, ne ho promosse a pieni voti due: quelle di Bilali e di Bosco. Poi la Pizza con la polenta di Gatti mi ha commosso per un motivo personalissimo, legato alla mia infanzia in Trentino, come raccontato qui.
In un futuro in fondo a noi vicino abbiamo Identità di Pizza lunedì 6 febbraio a Milano. Sul palco Enzo Coccia, Corrado Assenza e Simone Padoan, Franco Pepe, Roberto Pongolini, Beniamino Bilali e altri ancora.
Paolo Marchi
fonte: http://www.identitagolose.it/sito/it/40/2339/affari-di-gola-di-paolo-marchi/assenza-e-una-pizza-per-litalia.html?p=0
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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