La pizza è un piatto. Talvolta è servita al piatto. E talaltra incarna persino un piatto tipico.
Sì, uno di quelli radicati nella storia e nella memoria. Ambasciatore di un territorio e del suo genius loci. Voilà una gustosa rassegna che inanella italiani cult. Nel segno di tradizioni da mangiare con le mani. Dal nord al sud. Grazie anche al genio creativo di alcuni Petra Selected Partners, esponenti del prestigioso circuito voluto da Molino Quaglia.
Dry: vitello tonnato o cassoeula?
Piemontese o lombardo che sia il vitel tonné rimane sacro. Soprattutto da Dry Milano.
“La focaccia col vitello tonnato qui è un cult, dal tempo di Simone Lombardi. L’ho voluta lasciare e non la toglierò mai dalla carta, per rispetto di ciò che il Dry è stato e di quello che sarà”, spiega Lorenzo Sirabella, dominus di forno e impasti nel locale di via Solferino. Mentre l’insegna di via Vittorio Veneto va sotto la supervisione di Simone Timur Isayev. Dove certo non manca la vaporosa focaccia - con 72 ore di lievitazione, preziosa della farina Unica di Petra - che contempla vitello tonnato e polvere di capperi. Ideale anche in abbinamento a un buon cocktail.
Ma attenzione. Al Dry di Solferino Lorenzo osa. Supera le sue radici - la mamma è napoletana e il papà è ischitano - e mette in carta la rilettura (decisamente alleggerita) della mitica cassoeula. Il che significa verza (saltata in padella con aglio, olio e peperoncino), luganega, cipolla rossa, grana padano, riduzione di vino rosso e fiordilatte casertano. Una pizza meneghina. Impasto a parte. Con una precisazione sirabelliana:
“La mia è una napoletana al 90%. Perché l’impasto è indiretto, perché conta su 48 ore di lievitazione e perché la cuocio un pochino di più rispetto ai canonici 45-50 secondi”.
Pizzium e le polpette al sugo
Venti. Come le regioni italiane. Molise e isole comprese. Tante sono le pizze di Pizzium, che ormai ha all’attivo ben diciassette locali fra Milano (colonizzata da ben sei insegne), Serravalle, Gallarate, Como, Seregno, Varese, Busto Arsizio, Brescia, Torino (dov’è scattata la doppietta), Roma e Bologna. Dove ha aperto all’incipit del 2020. Le carte delle vivande però sono tutte uguali e rendono omaggio al Bel Paese (più qualche grande classico).
“Quando i commensali leggono il menu avvertono istintivamente un senso d'appartenenza. Che li conduce verso l'una o l'altra direzione lungo lo Stivale”, dichiara Nanni Arbellini, vulcanico deus ex machina del gruppo. Pizze-puzzle della Penisola che, di volta in volta, valorizzano questo o quell’ingrediente tipico. Sino a emulare i piatti della cultura gastronomica locale. Come accade per le pizze “Lazio” e “Abruzzo”. Nel primo caso una carbonara reloaded, con guanciale, pecorino romano, tuorlo e pepe nero. Nel secondo una verace amatriciana da agguantare con le mani.
La pizza? Una napoletana dal mood gioviale e moderno.
“Utilizziamo la farina Special di Petra. Una farina di grano tenero di tipo 0. Lavorando con un impasto indiretto, figlio dell’autolisi e di 26 ore di lievitazione. Dobbiamo assicurare una pizza corretta, ripetibile e riconoscibile”, precisa Nanni. Che non trascura le polpette al sugo. Polpette di manzo e maiale in sugo di pomodoro, basilico e grana padano tuffate nel panuozzum. Un panino aperto.
“Non avrei potuto non proporle. Mia mamma Carmelina mi ripete continuamente: ricorda che s’i figlio d’u’ purpettaro”.
La Pergola, il cinghiale, i fegatini e il pollo alla cacciatora
Toscana da ammirare: dalla terrazza. Toscana da mangiare: una volta seduti a tavola. Crede nel chilometro vero Tommaso Vatti e lo dimostra. In quell’insegna che da ormai vent’anni porta avanti con la sua famiglia: La Pergola, incastonata come un cameo nelle colline senesi di Radicondoli.
Un locale semplice, eppur spettacolare. Con Tommaso e Federico (aka Ghigo) ai comandi, e con intorno tutta la truppa: mamma Velia, papà Mauro e Silvia, moglie di Tommy. Anche lei, spesso e volentieri, alle prese con gli impasti. Che, supportati dagli ingredienti giusti, danno vita a veri e propri piatti di matrice regionale. Così il cinghiale sfilettato alla maremmana diviene pizza. Sotto: un impasto realizzato con le farine Petra 1 e Petra 9 e cioccolato Valrhona. Sopra, insieme al cinghiale: olive al forno, lardo di cinta senese e pioggia di pecorino del localissimo Podere Paugnano.
E il crostino ai fegatini dove lo mettiamo? Sempre sulla pizza, naturalmente. Meglio ancora se con Petra Evolutiva in purezza.
“Ho ricercato nella farina la parte erbacea delle piante officinali”, spiega Tommaso. Che completa la pizza con fegatini di pollo e cipolla caramellata.
“Uso una cipolla maremmana, alquanto minerale, perché cresce in un terreno piuttosto ferroso. Quello di un agricoltore di Massa Marittima che crede molto nel bio e nella sostenibilità”, continua lui. Fiero di finire il tutto con qualche cappero di Pantelleria. A dar l’accento sapido. Fegatini, ma anche fegatello di cinta senese (dell’azienda agricola Spannocchia, nella Riserva Naturale Alto Merse) con cipolla di Certaldo al forno, finocchio selvatico e pancetta di cinta.
Ma Vatti non dimentica certo i fagioli all’uccelletto, trasformati in crema e abbinati a salsiccia di cinta. Ricavata esclusivamente dalle costole del maiale. Può bastare? E la chianina? Eccola. Sotto forma di tagliata, tartare, carré arrosto e stracotto di gota. Finché il pollo alla cacciatora non reclama il suo ruolo. Su una pizza che chiama all’appello pollo del Valdarno, pinoli pisani e crumble di bruschetta all’olio extravergine d’oliva. Che qui non manca mai. Anche perché l’insegna fa parte di Airo, l’Associazione Italiana Ristoratori dell’Olio.
L’Apogeo dei tordelli
Tortelli? No tordelli, con la “d”. In terra di Lucca li chiamano così i ravioli a mezzaluna, dal ripieno di carne ed erbe aromatiche. Lo sa bene Massimo Giovannini che con la consorte Barbara Boniburini conduce l’Apogeo di Pietrasanta. E lo sa talmente bene che li mette in carta. Nella sessione #oltrelapizza. Spontanea emanazione di una saga alimentata da serate a più mani (la prossima, con il maestro Corrado Assenza, va in scena giovedì 19 marzo), durante le quali sono fermentate nuovissime idee. Della serie: dare un inedito ritmo alla degustazione. Che non resta una mera successione di spicchi ma una staffetta di impasti alternativi, perfettamente fusi con la cucina.
“Dopotutto in un ristorante mica si mangiano solo antipasti, primi o secondi” dice saggiamente Massimo. Così i tordelli diventano calzoncini-panzerottini fritti, colmi di macinato di carne, mortadella, bietole, ricotta, pecorino, timo e altre erbe. Serviti con una cucchiaiata di ragù al top. E nevicata di parmigiano.
Battiloro e la pasta, fagioli con le cozze
Condensa terra e mare. E si consuma comunemente nei cosiddetti chalet: caratteristici chioschi posizionati nelle località marine campane, specialmente napoletane. È la pasta e fagioli con le cozze. Un piatto popolare. Che Gennaro Battiloro - nato a Torre del Greco - coniuga in pizza, mettendoci pure qualche flashback d’infanzia.
“Me la preparava nonna Rita. Lei aveva la consuetudine di tenermi in braccio e, per abituarmi a tutti i sapori, intingeva il cucchiaino in quel che preparava. Così da sporcarmi la bocca e farmelo assaggiare”, racconta Gennaro. Capitano del regno che porta il suo cognome, a Querceta di Seravezza, vicino a Forte dei Marmi: Battil’oro. Con l’aggiunta di Fuochi + Lieviti + Spiriti. Per accendere il riflettori su forno a legna, impasti e cocktail. Altra peculiarità del luogo. Dove la minestra campana si converte in una pizza dall’aura partenopea, pescando i fagioli rossi di Lucca - un Presidio Slow Food - le chips di parmigiano reggiano stagionato 18 mesi e i celebri molluschi.
Cristina Viggè
fonte: https://www.fuorimagazine.it/blog/shooting/?permalink=pizza-al-piatto-tipico
Leggi anche:
Pizza al piatto… tipico (prima parte)
Pizza al piatto… tipico (terza parte)
- Foto Apogeo by Stefano Tommasi
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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