Dopo aver finito il suo turno di gara si è messo a disposizione dei colleghi rivali che non avevano aiutanti. Pala in mano ha sfornato, pulito il banco di lavoro, passato gli ingredienti.
Bosco è un pizzaiolo di livello mondiale, produce ottimi panettoni, ha cinque locali, è il punto di riferimento italiano per il lievito madre. Una degustazione da Saporè a Verona è un delizioso viaggio tra i gusti e le consistenze della pizza. Ma non riesce a “tirarsela”. E ha pure vinto…
Il primo concorso La pizza dell’estate, lanciato da GazzaGolosa e Joyful, ha dato finalmente un’idea tangibile del livello e della varietà raggiunto dalla pizza italiana.
C’è stato un equilibrio da grande gara con continui ribaltamenti di fronte. Prima manche sulla tradizionale Margherita con in testa a sorpresa il giovanissimo piemontese Stefano Vola (27 anni) e il papà di Berberè, Matteo Aloe, in ottima posizione.
Poi Ciro Salvo con una fantastica pizza regionale ha sorpassato tutti, ma alla fine è venuto fuori Bosco, forte allo stesso modo nelle due “specialità”. Si sono giocati loro la vittoria ma tutti i pizzaioli hanno portato spunti brillanti e innovativi.
Il limone nell’impasto di Scaglione, la pizon mortadella d’asino di Garofalo, zafferano e liquirizia per il viaggio in Abruzzo della Buzzanca, l’artistica pizza di Battiloro, allievo di Franco Pepe.
Bosco più che una gara è sembrata una giornata tra amici.
«È fantastico parlare di pizza e confrontarsi così. Siamo partiti tutti dalla Margherita, perché tutti noi riconosciamo la tradizione, e siamo arrivati alla pizza del territorio, a un’interpretazione più contemporanea».
A che punto è il cammino della pizza in Italia?
«Di strada ne abbiamo fatta tanta. Ma questa manifestazione mi ha confermato che ci vuole il confronto per crescere. Da tempo penso che sia in dispensabile un’associazione di pizzaioli italiani in grado di fare il lavoro che hanno fatto pasticceri e cuochi».
A che età ha cominciato?
«A 15 anni, in una pizzeria salernitana come cameriere. Li è scoccata la scintilla. Nel 1996 ho aperto il primo Saporé. Facevo pizza tradizionale e pro ponevo ai clienti qualche esperimento».
Lei è un mago degli impasti. Qual è il percorso per arrivare al croccante del crunch o alla scioglievolezza dell’Aria di pa- ne?
«Penso a che tipo di pizza voglio realizzare e sperimento fino a trovare la strada giusta. Con il crunch volevo il croccante ma anche il volume».
Qui ha sbancato con una gallina in saor sopra un quadratino di pizza. Un’idea bizzarra.
«Ho aggiunto all’impasto del crunch la farina di riso Venere per dare profumo e colore. La gallina grigia della Lessinia mi piace perché ha un forte significato per il mio territorio: era una razza in estinzione ed è stata recuperata. L’ho preparata in saor, ho aggiunto la burrata per dare grassezza e ho sdrammatizzato il tutto con la cicoria saltata in padella con l’aglio».
Parliamo di lievito.
«È un mondo incredibile e dai confini non ancora definiti. Io, in base alle preparazioni, uso il lievito madre o il lievito di birra ma la vera rivoluzione è la fermentazione spontanea».
Alt, spieghi.
«Partiamo dall’idrolisi degli amidi. Si prende del grano integrale spezzato e si mette a bagno per un’ora in acqua a 87°. Si forma un gel che viene subito attaccato da enzimi e lieviti presenti nell’ambiente. A quel punto lo prelevo e faccio un preimpasto che riposa 12 ore. Ogni giorno si riparte da zero, non si conserva come la pasta madre. La pizza viene molto alveolata, leggera e digeribile con un intenso profumo di grano. E non ci sono lieviti aggiunti. Ma forse è ancora più interessante la fermentazione spontanea dalla frutta. Io uso la mela. Il preimpasto che ne deriva avrà l’aroma del frutto. Questo apre la strada a un mondo di sperimentazioni».
Qual è la prossima novità?
«Sto lavorando sulla pizza fritta tradizionale napoletana ma reinterpretata in modo da renderla leggera come l’aria».
Lei ha cinque locali a Verona, una collaborazione a Torino e a breve aprirà anche all’estero. Come si rende replicabile una pizza di alta qualità?
«Bisogna formare il personale e non sempre è un compito facile».
Non è diventato di moda fare il cuoco e il pizzaiolo?
«Il problema è lavorare il sabato, la domenica e la sera. Molti ragazzi lo rifiutano per principio. Così alla fine ho formato uno staff multietnico con ragazzi che arrivano da tutto il mondo e non hanno paura dei sacrifici».
Ma scusi un giapponese che ne sa della pizza?
«Niente, ma forse è meglio così. È una carta bianca su cui scrivere mentre se arrivasse un pizzaiolo già formato dovrei smontare i suoi preconcetti. E poi con loro c’è uno scambio si conoscenze continuo. Per esempio a occuparsi del lievito è un ragazzo che arriva dallo Sri Lanka, mi ha insegnato tantissimo nell’uso delle spezie».
Qui non si è fermato un attimo. Fa così anche nei suoi locali?
«I miei ragazzi hanno un’organizzazione che funziona. C’è chi si occupa del lievito, chi dell’impasto, chi prepara i condimenti, chi cuoce la pizza e assembla il tutto. Io sarei fuori tempo. Così mi metto a disposizione. Se hanno bisogno mi chiamano».
Daniele Miccione
fonte: http://gazzagolosa.gazzetta.it/2018/06/22/renato-bosco-pizzaiolo-intervista/
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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