Viene subito da domandarsi cos’abbia mai spinto Antonio Pappalardo, chef-patron del locale, a lanciarsi un decennio fa – quando aveva neanche 19 anni! – nel mondo della pizza gastronomica, lasciando il sentiero tranquillo della classicità campana, lui in fondo è nato a Castellammare di Stabia, per quanto da sempre di stanza nel Bresciano…
Lui, lo si capisce subito, è uno di quei personaggi in bilico tra la spontanea umiltà di chi lavora tanto e il giusto orgoglio di chi sa di avere intuizioni brillanti:
«Diciamo innanzitutto che, quando aprii La Cascina, l’impostazione iniziale era diversa. Pensavo a una classica ristopizzeria come ce ne sono tante, pizza buona ma non eccellente, poi piatti di pesce (d’allevamento) e così via».
Tutto già visto, ma vecchio:
«Il modello era stantio. Poi noi eravamo piccoli e neonati, avremmo dovuto competere coi colossi del settore, che già applicavano questa formula facendo grandi numeri. A voler stare sul quel tipo di mercato, l’unica strada sarebbe stata quella di abbassare i prezzi: ma come preservare allora una pur discreta materia prima? Mi ritrovai senza una vera prospettiva. Così, invece di tirare a campare, dopo tre anni scelsi di rischiare».
Il rischio, sembra assurdo dirlo ma allora era così – in questo senso, Pappalardo è stato uno dei precursori – era quello di puntare tutto sulla qualità. Con un ulteriore problema: lui non aveva esperienza.
«Mi misi a studiare: ho frequentato l’Università della Pizza, snodo fondamentale. Ho sgobbato sugli impasti, sulle farciture, sulle lievitazioni. Ero molto curioso, andavo spesso a cena da grandi chef, per imparare. Ho appreso le basi della pasticceria, poi sono andato a lavorare Alle Rose, sul Garda, che all’epoca era un ristorante importante, così da approfondire le tecniche di cottura. Sono andato a conoscere personalmente produttori e prodotti».
Insomma, ha cominciato – di sua sponte, per suo acume, per suo merito – ad applicare a La Cascina dei Sapori i concetti propri dell’alta cucina, snodo necessario per creare una pizzeria contemporanea.
Lo fa anche oggi: «Siamo impegnati a curare i dettagli, a perfezionare innanzitutto il servizio, l’accoglienza».
Il tutto con uno scontrino medio da 25 euro… Dieci, anzi sette anni fa, l’interrogativo era: i clienti avrebbero capito? Oggi la risposta è: sì, certamente. Il locale è sempre pieno.
Carlo Passera
fonte: http://www.identitagolose.it/news/view.php?id=64
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