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Gianfranco Iervolino, oltre gli stereotipi

Pizza, Vesuvio e mandolino: tre dei cliché più abusati su Napoli, ma tutto sta in come vengono usati.

Prendete Gianfranco Iervolino: nato 38 anni fa a Torre Annunziata, paese dell'area vesuviana, di mestiere fa il pizzaiolo e quando non indossa la divisa da chef è per entrare nei panni di Pulcinella, per interpretare le canzoni del repertorio napoletano classico.

Eppure, Gianfranco è quanto di più lontano ci sia dallo stereotipo. Diplomatosi all'alberghiero, dopo gli stage in Penisola Sorrentina va in Gran Bretagna dove si specializza nel lavoro di sala e fa il barman. Tornato in Italia, gli viene offerto di prendere in gestione una pizzeria.

Così, quasi per caso, nasce la sua passione per la lievitazione e inizia la sua carriera da pizzaiolo autodidatta:

«Seguendo i consigli di pizzaioli esperti mi sono rimboccato le maniche e ho iniziato a provare, regalando molto spesso le pizze che uscivano storte o quadrate...». 

Dagli errori impara: tre anni dopo chiude il locale per lavorare come pizzaiolo in un ristorante turistico di Pompei, ma i grandi numeri non fanno per lui.

Nel 2001 trova la sua collocazione ideale in un'altra pizzeria pompeiana dove iniziano ad arrivare soddisfazioni e riconoscimenti. Da quel momento la sua strada si fa chiara: pizza napoletana sì, ma “gourmet”, con buona pace di chi vi vede un ossimoro insanabile.

Lasciata la pizzeria, torna a lavorare in Costiera incontrando grandi chef che gli svelano i segreti dell'alta cucina, da lui prontamente assimilati: «Ho capito che il modo culinario stava cambiando, e come cambiava la cucina poteva cambiare anche la pizza».

Dopo aver portato la pizza anche a bordo delle navi da crociera, Iervolino decide di tornare definitivamente a casa, alle falde del Vesuvio.

Due anni fa l'incontro con Nino Prisco, proprietario del Lucignolo a Boscotrecase, segna l'avvio di un progetto votato alla qualità.

Le sue pizze si basano su un impasto improntato sulla massima digeribilità (40 ore di lievitazione, 70% di idratazione) e ingredienti di prima scelta provenienti soprattutto dal territorio regionale, come le alici di Cetara e l'origano del Vesuvio.

Nonostante la sperimentazione e l'uso di farine forti macinate a pietra Petra, che lo pongono fuori dall'ortodossia napoletana, la sua resta una pizza d'impronta partenopea: «Avrei potuto scegliere strade diverse – racconta – come la pizza salernitana o quella “stile Padoan”, ma per me la pizza del cuore è quella napoletana».

Senza vincoli e con un solo fine: che sia buona.

Redazione Identità Golose
fonte: 
http://newsletter.identitagolose.it/email.php?id=384

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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