Ma talvolta può pure cambiare rotta. Guardare e andare lontano. Percorrere strade inattese e inaspettate. Superare il limite del conosciuto per varcare la soglia dell’inedito, dell’incognito e del misterioso.
Complici saggezza, conoscenza e una buona dose di coraggio visionario. E così la pizza ha fatto. Oltrepassando il Brenta e il Ponte Vecchio, per scorgere nuovi sentieri del sapore. Lungo la Via della Seta.
Sì, la Premiata Fabbrica Pizza di Bassano del Grappa ha messo in scena un viaggio ideale e al tempo stesso reale: quello di un novello Marco Polo che si spinge nelle acque pelagiche e perigliose dell’insondato. Solo che i viaggiatori erano tre, pronti a raccontare gli incontaminati orizzonti della pizza. In un incontro ravvicinato con aromi, spezie, marinature, fermentazioni e divagazioni sul tema.
Tre personaggi al timone di un’esperienza densa di sapienza: patron Massimo Frighetto, alle redini della pizzeria che segna l’ingresso (da Borgo Angarano) al Ponte degli Alpini, e che un tempo fu la premiata fabbrica di ceramiche artistiche G. Bonato; Michele Colpo, l’albero maestro degli impasti; e il guest chef Matteo Simonato, un globe-trotter della cucina.
“Sono nato a Milano. Ma presto sono stato deportato a Portogruaro. Poi mi hanno dato il passaporto e ho iniziato a scoprire il mondo”, racconta ironicamente Matteo, classe 1986 e nomade per indole e passione. Uno che a vent’anni era già in Australia. Per poi partire alla volta di Cina, Thailandia e Marocco, tornare a inchinarsi alla Bela Madunina per affiancare Misha Sukyas nell’avventura dell’Alchimista e dello Spice, e divenire chef personale di un principe saudita sul Lago di Como.
Uno che con le spezie ci sa fare. “Amo quelle di Francesca Giorgetti, la signora di Tuttelespeziedelmondo”, precisa Simonato. Aprendo eleganti sacchetti noir contenenti profumate meraviglie. In vendita online e nella bottega-laboratorio di via Vittoria Colonna 11 (aperta al pubblico il martedì e il mercoledì dalle 10.30 alle 17).
“L’anatra l’ho lasciata bollire insieme alle 5 Spezie Cinesi, poi l’ho spolpata e sfilacciata. E i pezzi sfilacciati li ho aggiunti al brodo di cottura fatto ridurre”, dice Matteo, spiegando il procedimento della sua anatra alla pechinese. Speciale farcia di un bao soffice ed eburneo, messo a punto da Michele.
“Ho preparato un impasto con la farina Unica, la tipo 0 di Petra - Molino Quaglia. E l’ho lasciato lievitare per circa due ore, per poi cuocerlo a vapore. Seguendo il classico rituale”. Un’entrée capace di condurre in Cina in pochi morsi. Grazie alla presenza di un’aromatica miscela tipica della cucina dello Sichuan: fra pepe, cannella cassia, chiodi di garofano, semi di finocchio e anice stellato.
Tuffo nel curry - e un po’ nell’India - con la seconda portata. Un cubotto yellow, realizzato con Petra 3, Unica e il 5% di curry.
“Qui ho optato per una lievitazione mista e per il 90% di idratazione. Lascio l’impasto in massa per 18 ore, a temperatura frigo. Procedo con la pezzatura, lascio riposare per altre quattro ore nelle cassette e stendo il tutto su legno, a 30°C. Attendendo un’altra ora e mezza prima di infornare”, precisa il pizzaiolo.
Mentre Matteo pensa al topping: crema di verze (condite con olio, sale e pepe), come tributo a Milano; puntarelle fermentate in un kombucha di pesca, mele e zenzero, per lenire l’amaro eccessivo e arrotondare il gusto; gambero scottato, pomodorino confit e pepe di Sichuan.
“Con queste pizze vanno d’accordo le bollicine e i vini aromatici. In alternativa, le birre. Meglio le ipa, le american ale e le pale ale, più luppolate e profumate”, suggerisce sommelier Massimo. Appassionato di kombucha, di birre artigianali, di vini naturali e di vitigni autoctoni. Mentre nel calice versa un elegante Kerner altoatesino firmato dal maso Villscheider.
A questo punto: impasto ai cereali. Compendio di Petra 3, Petra 5, Bonsemì e Cerealè, per una pizza all’87% di idratazione, virtuosa di semi (di girasole, sesamo, lino e miglio), ma anche di segale e avena. Fiera di ospitare “tutti i colori della Via della Seta”, puntualizza Matteo. Che propone crema di sedano rapa; verdure all’orientale (carote, zucchine, porri, peperoni e cipolle), cotte singolarmente e poi passate in padella con zenzero, lime e lemongrass; e sgombro. Marinato (per tre giorni) in una centrifuga di barbabietola (con zenzero, lime, foglie di curry) e poi sfilettato. Assumendo così un bel tono viola, quasi fluo. Tanto da somigliare a una cipolla rossa, confondendosi con gli altri ortaggi e onorando l’ars del camouflage. “Il binomio pesce e verdure è molto amato in Oriente”, sottolinea Simonato.
E dopo il curry e i cereali? Sotto con un’altra “c”, per un impasto alla curcuma - complice la farina Petra 3 e un’idratazione portata sino al 90% - valorizzato da una farcitura sempre all’insegna di terra e mare. Quindi: broccoli, sbollentati, conditi con olio, sale e pepe, e poi ridotti in cimette; pezzetti di aglio nero fermentato e alici. Messe a marinare in uno shrub di mandarino, prendendo a prestito i segreti della mixology.
“Ho aggiunto anche un po’ di pepe di timut nepalese, dalle note di pompelmo, e foglie di kaffir lime, dalle nuance citriche e fresche, che ricordano la buccia del limone”, commenta Matteo.
E dopo tante spezie? Un ritorno in Italia. Una deviazione dalla rotta principale. Un’uscita dai soliti schemi. Un passaggio a sud, attraverso la bella Bari, rileggendo la tiella di riso, patate e cozze. Alla base: un impasto a fermentazione spontanea.
“L’idea ci è venuta dopo la partecipazione all’ultima edizione di PizzaUp”, svela Michele. Che, con Massimo, fa parte dei prestigioso circuito dei Petra Selected Partners. Fermentazione spontanea cui concorrono le farine di farro spelta, maiorca e segale. Risultato? Una soffice pizzetta, orgogliosa di accogliere un morbido risotto con patate e cozze. Posizionato al centro, al pari di una salsa fondente. In abbinata? L’esuberante ed elegante “Elevare”, metodo classico rosé dell’azienda agricola bellunese Giannino Tormen.
Un ritorno in Italia che sconfina in un vero e proprio back to home. Grazie a un focus sul bollito e le sue salse. Sotto: impasto al lievito madre, prezioso di Petra 3, Petra 5, l’integrale Petra 9 e il 25% di kombucha alla pesca. Sopra: un prosciutto di bollito. Un neologismo gastronomico. Una sorta di puzzle, di art attack in cui tutte le carni del classico “lesso” si intrecciano, sublimando in un salume unico nel suo genere.
Matteo lo chiama il prosciutto di Noè, visto che riesce a radunare in sé reale di manzo, lingua, cotechino (marinato con le spezie) e tacchino. “Ma andrebbe benissimo anche la gallina”, precisa lo chef. Che fa cuocere l’originale patchwork carnivoro a 65°C per 16 ore. Per poi affettarlo e servirlo caldo sulla pizza, insieme a cavolfiori agrumati (messi a marinare con mandarino, lime, limone e arancia), salsa verde e mostarda di mele cotogne al wasabi. Per un immancabile brezza d’Oriente.
E per concludere? Pandolce bicolore. Giallo e nero. Ossia la rilettura dotta del più noto pane all’uvetta. Punto di partenza: un impasto con le farine Unica e Petra 5. Che poi prende due strade. Una parte viene infatti arricchita con zucca gialla, zenzero, uvetta, cardamomo e polline. Mentre l’altra sposa mallo di noce e fava tonka, assumendo un colore scuro. A corredo: crema inglese al polline, dalle decise sfumature mielate. A chiosa: distillato di mallo di noce nebulizzato, griffato dalla maison vicentina Capovilla. Naturalmente non ancora in commercio.
Mentre è la grappa Monte Grappa (sempre di Capovilla) ad esser spruzzata sulla pizza - come fosse un profumo - nella cena del 4 dicembre, all’insegna di un pairing con i vini della veronese Fattori, cantina di Terrarossa di Roncà. Con tanto di Guida alle eccellenze enogastronomiche vicentine in omaggio.
Della serie, alla Premiata Fabbrica le novità piacciono. Tant'è che sfogliando la carta spiccano alcune new entry. Come la pizza al farro monococco. Presentata in sei spicchi da degustazione. Vedi quella al baccalà in oliocottura, pomodoro, mozzarella, rape croccanti e spinacino. E vedi anche quella con mortadella Bonfatti, pomodori prunilli by Paolo Petrilli, funghi al limone, wasabi fresco e zest di limone. O ancora la vegana, con crema di zucca, finocchio, carote, cavolfiore, uva, menta e gomasio.
Pizza green che fa ha il suo upgrade grazie a un’altra new entry: la pala. Anzi, la “paLa Vegana 2.0”, con crema di carote e paprika, finocchio, rapa, barbabietola, cavolo cappuccio e gomasio. Mentre la “paLa Collina” incrocia i formaggi Biancone del Grappa e Fauno (con 100% di latte di capra) del Caseificio Castellan, prosciutto cotto alla brace e radicchio marinato.
Ma Massimo e Michele hanno anche introdotto la pizza napoletana. Col cornicione pronunciato. Sempre suddivisa in spicchi, così da divenir social e conviviale pure lei. In carta: la “Margherita” classica, quella in versione “Gialla”, la “Diavola” (con pomodoro Gustarosso, mozzarella e spianata calabra) e la “Siciliana”, con pomodoro Petrilli, capperi, aglio nero di Voghiera, basilico, origano, olio extravergine e filetti di alacce by Fish Different, marchio di Calabriaittica.
Filetti di alacce che tornano nell’impasto senza lievito, a fermentazione spontanea. Uno dei must della Premiata Fabbrica. Alacce unite a mozzarella di bufala campana, broccoli e zest di arance siciliane. Ma anche alacce con pomodoro Gustarosso, ricotta del Caseificio San Rocco (di Tezze sul Brenta), foglie di capperi, pomodorini semi dry, colatura di alici, origano e basilico nella “Pantelleria”. Mentre la pizza con carpaccio di bufala (del salumificio Fratelli Billo di Cismon del Grappa) incontra mozzarella, spinacini, pomodorino del piennolo, maionese alla senape e olive infornate di Ferrandina by Oroverde Lucano.
E l’impasto con lievito madre? Valorizza molti altri ingredienti. Locali e non solo. Così se la “Montegrappa” rende merito a porcini, pancetta, mozzarella, Collina Veneta stravecchio (San Rocco) e Morlacco del Grappa di Ivan Andreatta (di Solagna), la “Capasanta” rende onore al mare, insieme a crema di cavolfiore, porcini, delicato formaggio (a crosta fiorita) Biancone by Castellan, erbe aromatiche e melagrana fermentata.
Il bello? Che in carta, ogni tipologia di impasto viene descritto e ritratto nel dettaglio, in maniera molto semplice: specificando forma, suddivisione (in quadrati o in spicchi, con relativi diametri e lunghezze), peso, tempi di lievitazione e maturazione (o fermentazione) e temperatura del forno. Per la massima trasparenza nei confronti del commensale. Del resto, anche questa è cultura.
Così com’è altamente culturale far tappa (prima di pranzo o di cena) alla Grapperia Nardini. Posizionata accanto all’headquarter della maison, al lato opposto del Ponte monumento nazionale. Uno dei Locali Storici d’Italia, con le vecchie giare e con l’originario bancone in legno, che riporta tatuata la frase: "Quei che alla vita tiene beva giusto e beve bene". Un mantra. Per la più antica distilleria della Penisola (anno di nascita 1779), che celebra il suo 240esimo anniversario. Proponendo i suoi grandi cult. Come il Mezzoemezzo, il liquore-aperitivo a base di rabarbaro, frutta ed erbe. Da sperimentare con scorzetta di limone e seltz. Oppure il Tagliatella, mélange dal tono armonioso e speziato di grappa, marasca, arancia ed erbe. In equilibrio fra il dolce e l’amaro.
Cristina Viggè
fonte: https://www.fuorimagazine.it/blog/shooting/?permalink=da-bassano-alloriente-passando-da-bari
Foto interni ed esterni by Stefano Scatà;Foto ritratto di Massimo Frighetto e Michele Colpo by Carlo Baroni
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
BREAD RELIGION
Iscriviti e ricevi le novità nella tua email.