Corrado Scaglione, 51 anni, è una delle bandiere della pizza made in Brianza ed è spesso ospite nei tanti eventi che si svolgono non solo nella piazza meneghina, oggi sempre più capitale del food.
Dagli anni ’90 guida l’enosteria Lipèn, a Triuggio, nata come osteria-trattoria dei genitori: oggi la sua pizza è riconosciuta tra le migliori d’Italia (Tre Spicchi Gambero Rosso).
Cominciamo dal nome, curioso: niente riferimenti ad Arsène Lupin o a futuristiche contrazioni del termine licopene (il principio arrivo del pomodoro). Rimanda invece al nome storico legato al primo oste che, dopo la seconda guerra mondiale, qui ha aperto nei locali avuto in dono dal Conte Taverna per i suoi servigi (Filippo, piccolo di statura e smilzo, ovvero “Filipen”) e con cui la gente seguitava a chiamare il posto.
Prima che pizzaiolo Corrado è chef.
Scuola alberghiera all’istituto «Vespucci» di Milano. Tra le esperienze professionali spiccano l’Amelia di Mestre di Dino Boscarato, che aveva l’ambizione di prendere la stella Michelin; collaborazioni con Giuseppe Vaccarini e Viviano Panzetta; poi Villa d’Este, Enoteca Pinchiorri, il ristorante del Principe di Savoia (portato da Sergio Mei).
Nel ‘92 prende in mano l’attività del padre che gli chiede di rilanciarla. Diventa sommelier terzo livello. E dopo un periodo di ricerca di un’identità punta sulla pizzeria e il modello pizza napoletana.
«Ancora oggi faccio parte dell’Associazione verace pizza napoletana, ma ci entro nel 2004 – racconta – Mi è servito come riferimento. Mi sono fatto una base solida e da lì in poi ho fatto ricerca sulle materie prime e le tecniche per elaborare una pizza contemporanea».
Le tipologie di pizza proposte sono due.
La prima è la classica napoletana, con lievito madre e l’utilizzo della farina Special o Unica di Petra (formato zero anziché la doppio zero per non renderla gommosa). Viene cotta a legna a 420 gradi in 60-90 secondi e il gusto è morbido.
«Ho imparato a usare le farine per tipologia, senza fare mix. Petra se la sai usare dà tanto» fa sapere.
La seconda è in pala romana, farina Petra 9 (un’integrale), sistema della biga, lievito di birra, cottura con forno elettrico e farcitura fuori cottura. Al gusto rimane croccante fuori e morbida dentro.
«Nasce sulla tradizione della pizza romana – spiega – con l’impasto indiretto e molto idratatato, la biga lunga. Quando l’ho mangiata la prima volta con dentro formaggio e mortadella mi ha fatto impazzire. È una pizza che si fa da sempre, non mi piace chiamarla gourmet. Oggi la offro come alternativa alla napoletana per il cliente che non ama la tipologia morbida e che, non conoscendola, la scambia quasi per una pizza poco cotta. La napoletana, comunque, continua a essere quella che va di più».
La scelta degli ingredienti è curata: molti i presidi Slow Food, tra cui il sale siciliano delle saline di Paceco usato in tutte le preparazioni: le farine sono 100 per cento da grano italiano.
Degustiamo una «Meeeee» (sta per il siciliano «minchia»!), una rivisitazione della siciliana. Alla base passata di pomodorino giallo; sopra pomodorino rosso ciliegino confit, semidry (marinato con erbette, olio, origano, zucchero e sale, asciugato in forno e conservato in olio), alici di Cetara, capperi di Salina e basilico fresco. Un mix di sapori e colori accattivanti e un impasto che non cede a derive elastiche.
«Una pizza simbolo tra le veraci napoletani – fa sapere – è la Quater “stracc”, una rivisitazione dei 4 formaggi, fior di latte di Agerola, Scimudin, Taleggio, formaggini di Montevecchia, Gorgonzola stagionato e miele di acacia. È diventato uno dei miei must».
È la volta delle Sensazioni, in pala romana: alta e croccante, è una delizia che esalta la qualità degli ingredienti. «Un mio cavallo di battaglia: è fatta con bufala Dop, pomodoro vesuviano del piennolo, lardo d’Arnad, cipolla fritta di Tropea e aneto che dà un piacevole tono di aromaticità».
Alla fine Corrado nelle due versioni elabora una pizza contemporanea.
«Propongo qualcosa di immediato, appagante nell’impasto, nel colore, nella scelta degli ingredienti freschi. Pesco da tutta Italia, molti sono presidi Slow Food, come l’antico pomodoro di Napoli, il tigrato, il datterino, la papaccella che consumo a iosa, la ‘nduja di Spilinga, la salsiccia di Moncalvo che prendo da un macellaio di Inzago e che lavora con il bue di Carrù».
Gli chiediamo chi tra i colleghi stima e vede come modelli.
«Simone Padoan e Renato Bosco. Con Renato c’è stima reciproca. Sarò con lui quest’estate a Milano Marittima in una sfida di pizze sulla spiaggia con altri otto pizzaioli».
In carta Lipèn propone 8 varianti in pala romana e 24 come napoletana verace. Il cambio di menu ogni 4-5 mesi in base alla stagione.
«Per il futuro mi piacerebbe fare una pizza che omaggi il territorio: oggi in Brianza si coltiva lo zafferano, si producono salumi interessanti. Deve essere valorizzata a livello turistico. Da meridionale (i genitori sono di origini calabresi, ndr) amo questo territorio per i colori e la varietà del paesaggio».
Per chi non ama la pizza, Lipèn è anche ristorante: in carta propone gustosi antipasti (porri e uova di quaglia con fonduta di Taleggio al profumo di tartufo), primi (spaghetti alla chitarra con pomodoro antico di Napoli) e secondi (tagliata di fassona piemontese della macelleria Motta di Inzago e misticanza).
Tutta la pasticceria (pastiera napoletana e babà da provare) è fatta in casa.
Una vera chicca è godersi la Chimay Dorée alla spina che pochi locali possono avere.
«Con Chimay abbiamo una bellissima collaborazione nata sei anni fa – ricorda – La Chimay Dorée veniva consumata solo nel convento dai monaci trappisti e dai pochi laici che stavano al suo interno. È un prodotto elegante ad alta fermentazione, più leggero, 4,8 gradi. E si presta di più ad abbinamento con la pizza.
Oggi siamo il locale d’Italia che vende più Chimay Dorée – sottolinea – in un anno circa 20mila bottiglie, 400 fusti. Presto andrò in Belgio all’abbazia a preparare la pizza napoletana per tutto lo staff di Chimay. Un evento mediatico che a settembre ci porterà poi a Napoli a Castel dell'Ovo per i 40 anni del birrificio in Italia».
Lipèn ha tutta la gamma dei prodotti Chimay ma propone anche birre italiane artigianali di grande qualità (in totale 7 alla spina, di cui 3 dedicate a Chimay, e 30 etichette in bottiglia), tra cui Birrificio italiano, Menaresta e Birrificio di Lambrate.
Per il vino la scelta è molto particolare: niente convenzionali ma solo bio, biodinamici o naturali.
«Ci credo e sta funzionando. L’idea è avere anche prodotti della Franciacorta con questa caratteristiche». Al momento le etichette sono 35. Tra le bollicine, Bellavista, Contadi Castaldi, champagne Billecart-Salmon. «L’abbinamento bollicine e pizza rimane perfetto, con il rosé è il massimo».
Per il dopocena si può scegliere tra una selezione speciale di grappe, un prodotto morbido che ormai piace anche alle donne, e whisky.
Con la bella stagione si può anche pranzare o cenare all’aperto (circa 150 i coperti tra interno ed esterno).
«A novembre abbiamo fatto un restyling del locale con Cierreesse arredamenti, azienda di Cabiate, per dargli un tocco friendly e contemporaneo».
Il risultato è ben riuscito, un mix di antico e moderno, banco in ottone e sgabelli alti, legno, vetro, sedie colorate ispirate a oggetti di design del primo Novecento, soffitto fonoassorbente. La cucina è a vista. Oggi la trasparenza è essenziale. In tutto.
Daniele Colombo
fonte: http://www.de-gustare.it/lipen-losteria-e-diventata-una-pizzeria-di-classe/
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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