Pizzaiolo che utilizza solo farine macinate a pietra e lievito madre, oltre a tagliare San Marzano e mozzarella a mano e a prendere insomma ogni precauzione possibile per fare un prodotto «magari più costoso, ma buono e sano».
Col Ravagnan c’erano Molino Quaglia e Slow Food Veneto, due realtà corree di aver generato cultura attorno alla pizza contemporanea, alimentando il mestiere di giovani pizzaioli entusiasti, che oggi concorrono a definire una vera nouvelle vague che più, che al Sud, si infrange più di tutto sulle coste del Nord-Est.
Ma dall’altra sera è emerso chiarissimo che non è il caso di imbastire faide inter-regionali tra Veneto o Campania, perché gli spicchi del vertiginoso degustazione allestito dall’alleanza Grigoris-Molino Quaglia-Slow Food combinavano non sappiamo se il meglio, ma di sicuro ingredienti di grande pregio che si possono trovare lungo tutto lo Stivale. Impasti di elasticità e consistenze spaziali, innanzitutto.
Ne avremmo mangiati a non finire («c’è tutto il chicco del grano tenero, non solo la parte bianca», rivelava durante gli assaggi Piero Gabrieli di MQ) e una sequela di topping in alcuni casi assemblati con grande beneficio d’azzardo creativo.
I nostri assaggi preferiti dal menu? Due in particolare: il triangolo con sopra squacquerone di San Patrignano, misticanza di Nicola Pizzi, mortadella classica e pistacchio di Bronte (in foto). E quello con Asiago stravecchio e Monte Veronese, pizza con cui si è voluto omaggiare il Veneto.
Questo per la simpatia personale che nutriamo verso le combinazioni che spingono sull’acceleratore in fuga dal noto, oltreché dal pessimo.
Ma come si faceva a dire male di quella archetipale d’esordio, con antichi pomodori di Napoli e basilico fresco? O di quella con Antichi pomodori di Napoli, bufala campana, alici masculine da magghia, marinara nel salmoriglio e pangrattato tostato Petra? Impossibile.
Redazione Identità Golose
fonte: http://newsletter.identitagolose.it/email.php?id=369
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