Il maggiore dei tre fratelli che guidano la Pasticceria Belvedere,Inaugurata nel 1988 e posizionata nell’omonimo quartiere della padovana Legnaro
«Noi siamo partiti da zero. Anzi, da sottozero. Abbiamo origini contadine. Papà Cesare faceva il muratore e mamma Elide, che ha novant’anni, alleva ancora i polli. Con lei preparavamo la zuppa inglese, quando tornavamo da messa, la domenica», continua Emanuele: classe 1960 e radici rurali in quel di Brusadure, frazione di Bovolenta. Come del resto gli altri due bros: Luigino, nato nel 1964, e Sauro, annata 1970. Tre moschettieri. Ciascuno con la propria spada. Ma sempre uniti, determinati e capaci di fare squadra. Con rigore ed estro.
Della serie, precisione e ruoli ben precisi. Ma anche flessibilità e dinamismo. Così se Sauro si occupa più dei lievitati e della parte salata, a torte, creme e mignon pensano gli altri due. Sempre in un’ottica circolare e razionale della produzione. Il che significa pure no waste e massima efficienza. Anche grazie a un laboratorio grande, moderno e iper attrezzato.
«Arriviamo prestissimo la mattina. E beviamo un buon cappuccino col miele. La colazione dei tre orsi», racconta ironicamente Sauro.
Rammentando la ricca proposta breakfast della pasticceria. Che conta su 12-14 referenze, inanellando polacche alla crema, sfogliatine alle mele, semolini, risini (anche in versione con i chicchi di farro), brioche con yogurt greco e marasche (della vicina maison Luxardo), girelle viennesi al cioccolato e croissant.
Leggeri e fragranti, figli di una lunga maturazione, fedeli al metodo francese, alimentati dalle farine Sfoglia e Nova di Molino Quaglia e farciti con creme, confetture di frutti rossi e albicocche homemade, o ganache all’Equatoriale di Valrhona.
Croissant pure integrali, con un po’ di Petra 9 e dalla forma quadrata. «Quadrati e rettangoli permettono di avere meno scarti», puntualizzano i bros. Che certo non tradiscono la forma circolare del panettone e della veneziana. Un loro must. Soprattutto se impreziosita da un’aromatica crema pasticcera al Grand Marnier.
«Oggi si mangia tutto, tutti i giorni e in tutte le stagioni. Invece noi il panettone lo facciamo solo a Natale. Col lievito madre e dandogli un significato speciale. Perché il panettone è il risultato del lavoro di un anno. È la fine di un ciclo, la chiusura di un cerchio. Quello della terra e dell’uomo. Che in simbiosi producono il grano, i frutti che vengono canditi, l’uva passa, il burro, le uova e lo zucchero.
Il panettone è l’emblema dell’italianità e della globalità. È il simbolo della condivisione e della festa», spiega Sauro.
Ricordando che il loro è pure certificato biologico, messo a punto con la 1110 di Petra. «Per onorare il bio siamo partiti dal prodotto più difficile. Ma ne andiamo fieri».
Cristina Viggè
fonte: https://www.identitagolose.it/news/?id=217
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