capannoni senza senso e al di qua di quella campagna che diventa subito bassa padana, e non capisci più cosa stai cercando in quella selva di vie che non riportano nomi ma solo accenti di gente impaurita.
Ecco, la periferia è un luogo dove ancora c’è tempo per una storia ancorché le origini non siano da cercare qui ma in centro.
Qui ci si è arrivati attraverso il fenomeno espansionistico della copertura capillare dei quartieri e attraverso una comprensione: quello slancio d’oltralpe che costruisce laboratori fuori città e vende l’eccellenza all’interno della storia e dell’interesse turistico.
Ecco, la famiglia Piantoni, azienda familiare molto più familiare della familiarità della porta accanto italica, ha capito il primo e unico principio della conservazione.
E così si espansa in Brescia, mantenendo inalterati i legami familiari. Paolo è l’artigiano comunicativo, quello che ha portato fuori l’azienda, quello che ha fatto gli eventi e lo stesso che si è stufato degli eventi.
Suo padre, nume tutelare della panificazione, sua madre dietro il banco di uno dei negozi e suo fratello in laboratorio sono la tipicità di un luogo che come ultimo giudizio ha ancora quello del cliente. Senza forzature, con i mulini da battaglia e con i mulini da retaggio mediatico, senza il dogmatismo dell’ultimo cereale d’avanguardia. Estetica convenzionale e pani fatti bene. Non serve molto di più per riuscire a creare una nuova abitudine nella venuta a noia delle mode.
Lo stupore è nella stirata romana, impasto indiretto e solo lievito madre. Incredibile e inaspettata. Alveolatura accentuata, difficoltà elevata, topping classico e un perfetto rapporto tra il friabile e il croccante.
Metto da parte le mie idiosincrasie e cerco di seguire la strada di una pani(di)ficazione di successo. Brescia è un luogo fortunato, dal multiforme ingenio e dal multiforme disinteresse, dove è più facile creare perché in mezzo a quell’industriale da fuga senza toccata.
Paolo Piantoni è in laboratorio da sempre, è partito con il pane e con la sua conoscenza, è passato attraverso i corsi sul lievito madre, quelli al Mulino Quaglia, quelli alla Cast Alimenti, attraverso la stima “economica” verso Massari ed è arrivato al completamento del lievitato. Lì adesso c’è il suo mestiere.
Gestisce il suo lievito legato sia per la panificazione sia per i grandi lievitati. I pani hanno una commercialità e hanno una durata, le croste non sono particolarmente croccanti perché la quotidianità è fatta di palato più che di denti e il cliente ha la desuetudine al selvatico.
Impressionano le paste dure, storicamente messe a punto da suo padre, con biga lunga e idratazione controllata più dall’esperienza che dalla bilancia. Qui si va ancora con l’occhio esperienziale, si prolungano i profumi e anche le tenute del pane. Il lievito di birra dura giorni ed è un contesto perfetto per un grande salume di corte o di bassa corte.
La Colomba spinge, particolarmente alveolata, un filo asciutta, sfiocca bene e profumi di burro al proprio posto. È un campo ingombrante quello dei lievitati, saturo ma con dei debiti. L’idea giusta spalanca praterie…
Paolo è una persona rassicurante, pronta a mettersi sulla china giusta, a cambiare lato del marciapiede secondo necessità e non secondo mode.
L’ascolto è l’indole di un luogo che non può fare a meno di diventare una rara dimostrazione di accoglienza e di professionalità.
Suo padre Davide è chiaramente oltre l’età della pensione e oltre l’età della fatica ma rimane senza obbligo. L’acciacco tipico del passare del tempo è un pane caduto per terra e i venti metri percorsi da un dipendente. È tutto lì. Non c’è niente che va oltre nell’impresa familiare.
La riconoscenza è già nostalgia e un momento rilassato di grazia urbana e produttiva…
Nicolò Scaglione
fonte: http://ilsaperedeisapori.it/el-forner-la-tradizione-della-panificazione-paolo-piantoni/
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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