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Bread Religion: il pane è sacro (Prima parte)


Spezzare il pane. Gesto semplice. Apparentemente. Gesto concreto, dal profondo significato simbolico. Persino se compiuto quotidianamente a tavola, dove l’affettare e il dividere il pane assume subitamente un senso di socialità, comunione, convivialità e condivisione...

Poi, basta passare al campo teologico e al sacramento dell’eucarestia per vedere il pane - insieme al vino - assurgere a miracolosa evocazione del corpo di Cristo.

Pane. Materico e metaforico. Nutrimento. Fondamentale al punto tale da non venir negato neppure in caso di punizione: “mettere a pane acqua” si dice. Quasi a ricordare gli elementi basilari del vivere. Pane. Locale, regionale, italiano, globale. Pane capace di parlare tutte le lingue. Cibo che, nella sua infinita diversità, accomuna tutte le genti. Pane e companatico. Termine col quale si fa riferimento a tutte quelle pietanze che si mangiano accompagnate da lui: il pane.

Pane. Umile e nobile. Povero e ricco. Popolare e prezioso. Ordinario e straordinario. Good and gold. “Il pane è oro”, ripete Massimo Bottura, dominus dell’Osteria Francescana di Modena. E ribadisce il concetto in un libro, edito da L’Ippocampo. Un volume-inno al non spreco e al riciclo. Grazie a una lunga sequenza di ricette bread addicted messe a punto da chef del calibro di Alain Ducasse, Carlo Cracco, Davide Oldani, René Redzepi, Ferran Adrià e dallo stesso Massimo. Che trasforma il pane in un dessert in equilibrio fra evanescenza e croccantezza, panna e sostanza, gelato al caramello salato e polvere d’oro. Per una golosa instantanea che ritrae la colazione dell’infanzia.  

Pane. Socievole e solitario. Estroverso e romito. Come quello di Niko, deus di Casadonna e del ristorante Reale di Castel di Sangro. Che mette il pane al centro. Non solo del breakfast del mattino, non solo del desco, ma addirittura del piatto. Sì, nel suo menu degustazione “Ideale”, il pane appare solingo e assoluto, solenne e ieratico, rivestendo un ruolo paritario a quello di un’altra vivanda d’alta cucina.

Pane da mangiare. Pane da disegnare, dipingere, immortalare in un’opera d’arte. In molti lo hanno fatto. A partire dagli antichi Egizi, che nelle tombe amarono raffigurare la coltivazione e la macinazione del grano, ma pure la cottura del pane. E ancora Pompei, con il suo affresco pronto a ritrarre la bottega di un panettiere, conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. E ancora la “Sala del Pane” del Castello di Bentivoglio, nel Bolognese. Dove un ciclo di affreschi quattrocenteschi - proprio in quella che fu la stanza privata di Giovanni II - ripercorrono le fasi della produzione del pane. Dalla terra al suo gioioso consumo.  

Pane. Presente sulla mensa imbandita nell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, rinascimentale dipinto parietale - a tempera grassa - conservato nel Cenacolo Vinciano, adiacente alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Milano. Ma anche uno degli alimenti protagonisti - in primo piano - nella luminosissima Cena in Emmaus (villaggio vicino a Gerusalemme) del Caravaggio. Oggi di stanza alla National Gallery londinese. Anche se Michelangelo Merisi dipinse una seconda tela, oggi conservata alla Pinacoteca di Brera. Che si distingue per una maggiore intimità, per un’evidente essenzialità cromatica e per un uso teatrale della luce.

Pagnotta. Esibita e protetta dalla mano del Mangiafagioli del bolognese Annibale Carracci, olio su tela - databile fra il 1584 e il 1585 - custodito nella galleria capitolina di Palazzo Colonna. Mentre, nel Settecento, il milanese Giacomo Ceruti (alias il Pitocchetto) mette a punto innumerevoli nature morte, fra le quali quelle che inanellano pane, salame e noci, nonché astici, limone, ampolle di vetro, pane e una bottiglia di vino, da ammirare sempre alla Pinacoteca di Brera. E sempre nel diciottesimo secolo, Luis Meléndez, nato a Napoli ma vissuto a Madrid, fa focus sul bread nella Natura morta con pane e fichi, oggi alla National Gallery of Art di Washington.

Persino Édouard Manet, precursore dell’Impressionismo, nell’ottocentesco Le déjeuner sur l’herbe non dimentica la pagnottella, posizionandola vicino al cestino con la frutta. In esposizione al Musée d’Orsay di Parigi.

Ed è proprio una ciupeta ferrarese a comparire nel dipinto metafisico Il saluto dell'amico lontano di Giorgio De Chirico (1916), esposto alla casa museo Palazzo Maffei di Verona.

Ma poi ci sono le surreali baguette di René Magritte ne La Légende dorée, facente parte della Leslie and David Rogath Collection. C’è la scritta Pain dell’artista svedese Erik Dietman, che significa pane (in francese) ma anche pena (in inglese). Intesa nel caso il pane dovesse mancare. Ci sono le ridondanti Rosette (caolino su tela) by Piero Manzoni, uno degli unconventional Achromes dell’artista. E di nuovo le baguette del tedesco Wolf Vostell, utilizzate per far da cornice a una Cadillac, nell’installazione Energia del 1973.

Non dimenticando l’eccentrico Dalí. Che per il pane sviluppò una vera ossessione. Al punto da raffigurarlo tagliato e messo in un cestino (nel 1926); quasi intero, ma spezzato (nel 1945); e reiterato sulle mura esterne di quella che è la Fundació Gala-Salvador Dalí, nella catalana e natìa Figueres. Sì, le pareti outdoor del teatro-museo sono decorate con centinaia di pan de crotons, il pane a tre punte di cui era ghiotto il genio visionario.

Pane anche nella settima arte. Basti pensare al film Pane, amore e fantasia, diretto da Luigi Comencini. Oppure al pluripremiato Pane e tulipani, del regista Silvio Soldini.


Leggi anche: Bread Religion: il pane è sacro (Seconda parte)


Cristina Viggè
fonte: https://www.fuorimagazine.it/blog/shooting/?permalink=bread-religion-il-pane-%C3%A8-sacro


- Foto pane di Niko Romito by Brambilla-Serrani
- Foto del dettaglio della Sala del Pane del Castello di Bentivoglio by Valerio Zanna
- Altre foto di Carlo Baroni, Marco Gallocchio, Enrica Guariento e Thorsten Stobbe

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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