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Trapizzino: un triangolo di design

La pizza come oggetto di design? Perché no. I trapizzini di Stefano Callegari (mente – insieme ad Antonio Pratticò – e braccio degli indirizzi capitolini Sforno, Tonda e 00100) sono un esempio eclatante di food design.

I triangoli di pasta da pizza riempiti con i sughi veraci della tradizione romanesca – da seppie e piselli alla coda alla vaccinara, anche nella versione marinara con il polpo – incarnano tutti e tre gli aspetti individuati da Paolo Barrichella, pioniere del food design italiano:

la progettazione per il cibo (che riguarda cioè la fruizione del cibo), la progettazione con il cibo (la logica sensoriale e “culturale” alla base del piatto stesso) e la progettazione di portata, cioè il rapporto tra il contenitore e il contenuto. Il trapizzino – marchio registrato che Stefano mette a disposizione di chi voglia seguirne la filosofia – è quindi una forma di riempire di significati e soprattutto di appetitosi significanti, trasformando i piatti della tradizione in street food.

Ad averne colto in pieno la portata simbolica e concreta è stato ad esempio Mauro Uliassi, che all'ultimo Salone del Mobile di Milano ha portato appunto i Trapizzini by 00100 (la pizza al taglio dove sono nati, prima di approdare anche ai tavoli di Tonda) farcendoli con i sughi della tradizione marchigiana: trippa alla canapina e pollo alla cacciatora.

Qual è il segreto dei trapizzini? Una sorta di uovo di Colombo: «faccio un impasto normale da pizza in teglia – spiega Stefano – che stendo piuttosto alto e poi faccio riposare per 40 minuti ad una temperatura di circa 35°C. In questo modo la pasta si “ridistende” e l'alveolatura ritorna fine ed omogenea, creando una specie di “spugna” interna molto morbida, adatta ad accogliere i sughi. La cottura è veloce e piuttosto “violenta”, i trapizzini vanno poi scaldati al momento, prima di farcirli».

Ma il problema era: come ricavare tutti angoli da una teglia? Problema risolto incidendo l'impasto al termine della fase di riposo in teglia, ottenendo dei quadrati disegnati con l'olio per evitare che aderiscano e facilitare la “cicatrizzazione” durante la cottura.

Si ottengono così le “tasche” da riempire a piacere. Unica avvertenza: man(eg)giare con cura, o dire addio alla maglia pulita!

Luciana Squadrilli
fonte: 
http://newsletter.identitagolose.it/email.php?id=353

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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