Chi è di queste parti lo sa: nel fine settimana non accettano prenotazioni e in genere c'è una fila mostruosa.
E questo non è frutto del successo ulteriore che la pizzeria sta avendo dopo le sue esperienze con le iniziative del Molino Quaglia, come PizzaUp e l'Università della pizza.
Tutti sanno che Al Castello la pizza è tra le migliori della bergamasca.
Una pizza di fattura non napoletana, molto stesa e ampia, che la cottura rende croccante nel bordo ma che ha gusto e fragranza uniche, perché evidentemente si curano dell'impasto come pochi da queste parti.
Almeno questo era il mio ricordo, perché ci mancavo da una decina d'anni.
Sapere che questa pizzeria si era messa in gioco con le farine Petra e tutto il resto mi incuriosiva terribilmente.
Faranno come Luca Mariani che punta tutto sulla pizza gourmet e ne ha fatto proprio il modello pizza-alta-in-teglia-con-ingredienti-pregiati (modello attribuibile a Padoan de I Tigli di San Bonifacio, che insegna anche nella suddetta università), o cercheranno una sintesi tra la loro tradizione e l'innovazione proposta dagli autori del Manifesto della pizza italiana contemporanea, come cerca di fare in modo coraggioso e anche rischioso Nasti a Bergamo?
Al Castello non ha sito internet, per cui devo affidarmi a quanto leggo da recensioni sparse.
Sembra abbiano semplicemente affiancato alla lista di pizze tradizionali una lista di pizze secondo il modello Petra, e questa cosa mi lascia ancor più curioso, perché non capisco se sia una tattica attendista prima di proporre una lista unica o se loro credano fermamente che è il caso di tenere distinte le due cose, sia per ragioni romantiche - conservare comunque la tradizione del locale - sia per ragioni economiche, cioè per non sconvolgere le abitudini della clientela abituale.
Facendo queste riflessioni con la mia metà, mentre da Calcinate andiamo a Cividate tagliando per Mornico, decidiamo salomonicamente che se davvero troveremo due liste distinte ordineremo una pizza della tradizione e una dell'innovazione, per poi suonare il gong del match all'ultimo spicchio.
Una volta nel locale, ovviamente pieno, stabiliamo di bere una Dominus triple e poi ci tuffiamo nella scelta delle pizze.
Infatti, i due elenchi sono separati, le pizze tradizionali nel menù generale del ristorante, quelle gourmet in una lista che cerca di occultare il marchio Petra ma che ne reca lo slogan in copertina - dove la farina diventa arte - e ovviamente ha prezzi più alti in nome della qualità dell'impasto e degli ingredienti di farcitura.
Dalla lista tradizionale estraiamo la Regina, con trevisana, pancetta, scamorza - per noi senza pomodoro - che già in passato avevamo apprezzato.
In genere io faccio sproloqui contro le pizze eccessivamente stese e biscottate, e può sembrare fortemente contraddittorio che io trovi una simile pizza buona, ma che dico?, fenomenale.
Se poi ci aggiungiamo le mie origini partenopee, sembra veramente che so' asciuto pazzo.
Invece l'unica cosa per cui impazzire è la fragranza e il gusto di questo impasto.
A dispetto dell'apparenza, la pizza non è affatto biscottata, ma ha una croccantezza moderata nel cornicione e una piacevole morbidezza nel corpo.
Insomma, profumo e sapore della pasta - che forse contiene un gioco di farine e una percentuale di grasso - sono di per sé sufficienti a garantire a questa pizza il titolo di migliore pizza non napoletana di tutta la provincia di Bergamo.
Ma chi arriva all'altro angolo del ring?
Ecco la pizza gourmet Fior di ricotta, laddove la ricotta sta per l'omonimo formaggio e il Fior corrisponde ai fiori di zucca, ma il compito di dare una botta di sapore dolce e salato è dato rispettivamente a datterini e acciughe del Cantabrico.
La pizza viene servita a spicchi perché in realtà, dopo una lievitazione in teglia tonda per darle la forma -quella della pastiera, tanto per intenderci - viene cotta e tagliata a triangolini prima ancora di appoggiarci sopra gli ingredienti, operazione che si compie alla luce del sole proprio all'ingresso della pizzeria, con un affascinante effetto cucina a vista.
La pizza è perfettamente lievitata e cotta, anche perché le farine Petra sono fatte apposta per far raggiungere altezze persino spropositate all'impasto.
Se questo sia sufficiente a garantire la leggerezza e la digeribilità che vengono dogmatizzate nel manifesto della pizza contemporanea non saprei dirlo, credo contino anche il tipo di lievito, la percentuale d'idratazione e il tempo di maturazione.
C'è stato anche il tempo e lo spazio per un semifreddo alle nocciole, selezionato dalla lista di dolci della casa, perché poi ce ne sono altri di differente provenienza.
Non voglio trattare con sufficienza il momento del dessert, né essere sbrigativo circa il conto equo di 42 €, perché se sono venuto qui è per completare una piccola indagine sullo stato dell'arte pizzaiola nei paraggi.
Quello che posso dire nello specifico è che le pizze, tradizionale e gourmet, quella di sempre e quella del modello nuova pizza italiana contemporanea, sono entrambe godibilissime e leggerissime.
Insomma, al suonar della campana i due contendenti restano in piedi e il match si potrebbe considerare pari.
Lo so, nessun match finisce pari, e per evitarlo sono stati inventati i famosi punti.
E allora faccio qualche considerazione per istigare il lettore di turno a farsi il conto da solo, non soltanto in relazione alla pizzeria Al Castello ma al fenomeno pizza gourmet qui in zona, al quale ho dedicato questa mini-serie di post.
La pizza tradizionale esisteva già ed era già così buona, almeno quella da gustare Al Castello.
La nuova arrivata è figlia di un impegno scientifico considerevole, che unisce gli sforzi di produttori e operatori del settore di tutt'Italia.
In provincia di Bergamo, a Cividate al Piano, nella lista di pizze gourmet in un solo caso la farcitura è legata al territorio - cioè quella con la lingua salmistrata di Cazzamali a Romanengo - sebbene il primo punto del manifesto della pizza italiana contemporanea inviti a fare molto di più.
Nella stessa lista c'è un proliferare di prodotti di bufala, tutti DOP, e quindi tutti di provenienza meridionale perché qui al nord purtroppo non esiste nessuna DOP dei derivati di bufala, pur essendoci prodotti di bufala di altissima qualità.
La mia conclusione è che se tutti i pizzaioli che si ostinano a fare degli osceni dischi di pasta biscottata e bruciacchiata impareranno a fare un buon prodotto adottando il modello pizza-gourmet io sarò il primo a felicitarmi.
Non oso pensare a come mi sentirei in un'Italia dove ogni pizzeria mi presenta questa rosa di spicchi alti e digeribilissimi conditi con ingredienti ricercati o quasi, perché mi chiederei dov'è finita l'unicità del pizzaiolo.
Alla fine, penso che Al Castello abbiano fatto la scelta migliore, nel tenere distinte le due liste e proponendo di fatto due prodotti diversi, non paragonabili ma tutt'al più confrontabili, entrambi di gran qualità, che ognuno potrà preferire di volta in volta.
E penso che faccia bene Nasti a Bergamo a mescolare le intuizioni della nuova ondata col suo modo storico di fare la pizza stesa, e che Mariani continuerà a seguire la sua vocazione di scopritore di novità e ricercatore di ingredienti sopraffini.
Che ognuno di loro, e tanti altri, possano conservare la propria personalità, perché sull'unicità di chi fa da mangiare non ci si metta mai una Petra sopra".
Sergio Cima
fonte: http://bergamogourmet.blogspot.com/2013/08/pizza-tour-oh-che-bel-castello.html
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
BREAD RELIGION
Iscriviti e ricevi le novità nella tua email.