Dove si possono sfogliare le “margherite” e ordinare le pizze messe a punto con le carni pregiate della Macelleria Motta di Inzago. In un omaggio alla Brianza, terra genuina e generosa.
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“Voglio mettere un po’ di Brianza sulla pizza”.
Corrado Scaglione è un tipo serio e puntiglioso: quel che pensa e dice poi lo fa. Voilà la collaborazione fresca fresca con una macelleria d’eccezione come quella di Sergio Motta di Inzago. Un vero must per il territorio brianzolo. Che può contare pure sulla presenza - a Bellinzago Lombardo - del Ristorante Macelleria Motta, capace di tradurre la carne in succulente pietanze.
“Adoro il suo modo tradizionale di essere macellaio”, afferma Corrado, parlando di Sergio. Che lavora il bue di razza fassona piemontese. Sì quella “della coscia”, come dicono nella regione del tartufo e del Barolo. Fassona che Sergio - su insegnamento del padre Giuseppe - fa frollare a lungo. Affinché essa raggiunga la tenerezza assoluta.
Così la carne finisce sulle pizze. Acquisendo un posto d’onore nella carta di primavera dell’enosteria Lipen di Canonica Lambro, frazione di Triuggio.
Lipèn con l’accento sulla “e”, mi raccomando. Lo si capisce osservando la parete del locale dove il nome dell’insegna spicca a lettere cubitali. Con tanto di peperoncino ’n coppa all’accentazione. “Me lo hanno regalato. L’ho messo lì e non l’ho più tolto”, spiega Corrado, con piglio quasi scaramantico. Ma a ben vedere gli sta portando fortuna.
E comunque sia, lui la fortuna ha saputo costruirsela piano piano. Dando continuità all’attività intrapresa dal papà (nel 1964) qualche isolato più in là e proseguita (nel 1969) nella sede odierna.
Uno spazio arioso, oggetto di un rinnovamento totale, che lo ha reso contemporaneo, dinamico ed energico. Nutrito di legno chiaro, di colori accesi, di linee essenziali e di divanetti in velluto dal tono ottanio.
Mentre forno e cucina sono a vista. Custoditi da uno scrigno trasparente che svela gesti e movimenti di chi mette le mani in pasta e in pentola.
Anzi, scendendo le scale compare proprio una grande mano: quella plasmata dall’artista (originario di Erba) Gianluca Maioli. In arte, magia77design, sintesi d’ingegno, idee e manualità.
Incarnata in opere che fanno uso in maniera creativa di rame, stagno e legno. Pure quello proveniente da scarti di bancali. I pallet, per intenderci. Che alimentano il Porcosvino (in taglia small e large) che campeggia qua e là.
Un maialino salvadanaio - un po’ porcospino, per via degli aculei-bottiglie - sublimato in portavino. Paladino del motto: “del maiale non si butta via niente”.
E anche del bue non si scarta nulla. E soprattutto lo si valorizza al massimo. Parola di mister Motta. Che con sottofesa, punta d’anca e punta di petto fa la bresaola. Anzi, una verticale di bresaole. O, come li chiama lui “prosciutti di manzo”. Complici il tempo e… sale, pepe, alloro e bacche di ginepro.
“È il palese esempio di come dai muscoli di un solo bue si possano ottenere prodotti completamente differenti l’uno dall’altro”, spiega il macellaio.
Servendo le bresaole con la colomba salata (e leggermente scaldata) ai pomodorini, olive taggiasche e alici di Corrado. Messa a punto con la farina 1119 bio e integrale di Petra. Visto che il Lipen è uno dei Petra Selected Partners di Molino Quaglia.
Ma sono poi le pizze ad accogliere le carni della macelleria brianzola.
La pizza napoletana “Friarielli” elegge infatti la salsiccia di bue di Moncalvo, il fiordilatte di Agerola, il grana padano, il basilico e l’extravergine.
Mentre la pizza in pala romana “La briciola estiva” associa la salsiccia a burrata e filacci di zucchine marinate in olio e limone.
E il cannolo di pizza? Cela una tartare di bue di razza fassona con salsa verde e tuorlo marinato. Simbiosi di tenerezza e croccantezza.
Carne che torna nei secondi, preparati con il supporto dello chef Giorgio Parentella: tagliata con misticanza di verdure in tempura; e carpaccio con spinaci novelli, pomodori confit e cialde di parmigiano.
Mentre fra i primi spiccano gli gnocchi di grano saraceno con burro, salvia e fonduta di bitto; i cavatelli di farro monococco con ragù di coniglio e olive taggiasche; e gli spaghetti alla chitarra con basilico e antico pomodoro di Napoli. Quello del presidio Slow Food di Bruno Sodano.
Sfogliando le Margherite
Sono invece gli antichi pomodori di Napoli del presidio Terra Amore e Fantasia di Sabato Abagnale a sbocciare sulla Marinara, insieme all’aglio rosso di Nubia di Rosalba Gallo, altro presidio slow.
E la Margherita? Si fa in sei. “Ho pensato a una vera e propria carta per questa pizza simbolo del made in Italy”, commenta il pizzaiolo. Che la prepara in maniera classica, con San Marzano, bufala, basilico ed extravergine;
in declinazione “Regina Margherita”, con fiordilatte di Agerola, San Marzano, grana padano, olio e basilico;
e in “3 D”. Tridimensionale. In pratica: un fiore a tre petali. Ciascuno dedicato a un’abbinata: pomodoro del piennolo del Vesuvio e bufala; pomodoro rosso confit e fiordilatte agerolese; nonché giallo confit e provola.
Anche se poi ci sono pure la “Gialla”; la “Piennolo” e la “Datterina”. Per una gustosissima variazione sul tema.
Le napoletane e le altre
La specialità di Scaglione? È proprio la verace (fragrante e super digeribile) pizza napoletana. Anche se lui è nato a Carate Brianza da genitori calabresi.
Da provare? Quella preziosa di scarola stufata con alici e olive, fiordilatte di Agerola, provola, salsiccia ed extravergine.
Quella con le papaccelle - tagliate a filetti - del Presidio Slow Food di Vincenzo Egizio.
E quella che fa dire, in un'esclamazione tutta siciliana: “Meeeee” (che buona!), con passata di pomodoro giallo da serbo, pomodorino rosso confit, alici di Cetara, olive taggiasche, olio, basilico, origano.
E la “Quater Stracc”? È intitolata a chi ama i formaggi: scimudin, gorgonzola, taleggio, formaggini di Montevecchia (la Brianza torna) e miele d’acacia.
Mentre la “Stella di Bachetti” è un omaggio al pizzaiolo napoletano Attilio. Si tratta infatti di una pizza con le punte ripiene di ricotta. “È talmente richiesta che non posso più toglierla”, svela Corrado. Sempre affiancato dal giovane Luca Maggioni.
Corrado che propone ai commensali pure la pizza in pala romana. Preparata con Petra 9, la “tuttograno” italiano e macinato a pietra del molino di Vighizzolo d’Este; oppure con un impasto speciale del giorno.
Da sperimentare? La versione “Le Sensazioni”: con bufala, pomodorini del piennolo del Vesuvio, lardo d’Arnad, cipolle di Tropea fritte, basilico, olio e aneto.
E se quella “Imbottita” predilige crema di patate prezzemolate, baccalà mantecato, confettura di cipolle e perle di balsamico, la “Giambon de Magütt” incorona mortadella ai pistacchi, concassé di pomodoro tondo, origano e pepe nero. In ode ai manovali lombardi (muratori in primis).
Un’espressione quella di magütt di palese derivazione latina, al tempo della costruzione del Duomo di Milano. Magister ut supra (maestro come sopra) veniva infatti scritto accanto ai nomi dei mastri operai, per evitare di ripetere per esteso la mansione di ciascuno.
E già che siamo in tema, ecco un'altra curiosità: il nome Lipen proviene da Filippo, colui che aprì l’osteria nel primo dopoguerra, negli spazi ricevuti in dono dal conte Taverna per i servigi offerti. Filippo detto Filipen per via del suo fisico smilzo e asciutto. Da cui il soprannome Lipen, giunto sino ad oggi.
Un club spumeggiante
“Nel calice? Desidero servire un prodotto indimenticabile”, dichiara il pizza chef Corrado. Che propone le birre trappiste ad alta fermentazione Chimay, prodotte nell’abbazia di Notre-Dame de Scourmont in Belgio, a una settantina di chilometri dalle colline della Champagne.
Tre quelle alla spina: la “Première”, dal tono ramato e dal gusto fruttato; la “Cinq Cents", una triple chiara ed equilibrata; e la “Dorée”, una bionda dagli aromi rinfrescanti di luppolo e spezie, da sempre ad uso e consumo esclusivo intra muros e ora destinata ai soli membri del club.
Il prestigioso Club Chimay, s’intende. Di cui Lipen fa parte. “Ogni anno vado almeno due o tre volte in Belgio”, racconta orgoglioso Corrado.
Ma nella “sete list” compaiono altre birre spillate live. Vedi la “Bibock” del Birrificio Italiano (di Limido Comasco): carica, potente, elegante e piena, quasi selvaggia.
E ancora, la “Pan-Negar” di Menaresta (di Carate Brianza): pane liquido dalle note rustiche e tostate, a base di grano saraceno e avena. E poi l’erbacea e floreale “American Magut" del Birrificio Lambrate e la “Blanche” De Namur by Brasserie du Bocq.
E non finisce qui. Numerose anche le birre in bottiglia. E i vini. Preferibilmente naturali, come quelli tarantini de L’Archetipo, figli di un’agricoltura sinergica, rispettosa della terra.
Da assaggiare: lo spumante “Marasco”, un brut nature da uve maresco; e il “Moscatello Selvatico” dolce. E per chi volesse una bibita… chinotto, limonata e mandarinata griffate Niasca, maison fiera di valorizzare le eccellenze del Tigullio ligure. In un inchino al genius loci.
Cristina Viggè
fonte: http://www.fuorimagazine.it/blog/shooting/?permalink=la-verace-primavera-del-lipen
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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