Governolo. Parco del Mincio e frazione di Roncoferraro. In quell’angolo di Lombardia così remoto da togliere la poesia del viaggio da compiere. Il sapere di essere in un crocevia di culture e sensazioni non aggiunge nulla alla difficoltà dell’approccio.
Se parti da Milano, hai due scelte: o circumnavighi e arrivi da altre regioni oppure ti appresti all’ignominia politica del traffico.
Probabilmente i notabili locali non sono stati così influenti da costruire una linea retta. Questo mantiene pudore e senso. Ed è tutto lì, al di là della bellezza.
Tra i pescatori del Mincio e i pioppeti, si alternano capanne, approdi e paesi. Il resto è piatti tipici e identità popolare. Quella che prende una parte per il tutto e che ha necessità di trovare dei nati celebri per mantenere interesse al di là della fuga. Mantova è troppo vicina per non portarsi via tutto ed Emilia e Veneto sono lì a contendersi dialetti e tradizioni. In questo luogo di frontiera, Grazia Mazzali, nativa ma senza obbligo, ha deciso di portare avanti l’attività paterna.
Ha preso in mano le ricette di suo padre, ha condiviso la passione con suo fratello, ha diviso responsabilità e negozi ed ha cominciato a studiare. Donna in un mondo profondamente radicato nel testosterone, ha frequentato tutti i corsi possibili e immaginabili. Governolo, fino a quel momento, era luogo di semilavorati e di facilità dolciaria. Le ricette non avevano mai avuto una controprova.
Così, Grazia ha trovato sulla sua strada Achille Zoia e Rolando Morandin, ha imparato a tradurli e ha iniziato a lavorare il suo lievito.
La scelta delle materie prime è di alto livello ma è compressa all’interno del laboratorio. I dolci guardano fuori dalla finestra più come tradizione che come territorio. Ma la gratuità di imparare è anche la gratuità di ascoltare.
E così Grazia sta compiendo il suo percorso senza pressioni, senza accademie e senza concorrenze che non siano quelle da Ferrari, catering, champagne e mono e digliceridi che la commissione d’esame ha giudicato sufficienti traducendo la spocchia senza mani in pasta in un posto al sole (la nota di redazione è quella di cercare a Bagnolo San Vito…), con della materia prima in laboratorio e della materia prima che sarà il suo prossimo futuro. Senza sofisticazioni. Dal gelato al panettone, le capacità tecniche sono un mezzo d’espressione e non il fine di una degustazione.
Qui a Governolo, in questa pasticceria rimasta intrappolata nella geometria del tempo che fu, con il legno povero, le sedie ad archi concentrici e un profumo di canfora che guarda tutti nello stesso modo, Grazia ha messo davanti le sue ammirazioni verso le conoscenze (Luigi Biasetto su tutti…) e le ha umilmente convertite in ripetizioni. Insegnante fu e insegnante rimane. Così i suoi dolci hanno una grazia infusa. Tutto qui. Non c’è nulla al di là dell’assaggio. O no?
Ha aperto da due anni un nuovo punto vendita, in bianco e vetro, ad Albinea in provincia di Reggio. Settanta kilometri da percorrere diverse volte a settimana. Produzione centralizzata, sveglia alle cinque di mattina e giornata indefinita. Lì, al termine di un’alzataccia alle quattro e mezzo, un’autostrada mattutina, un matrimonio il giorno dopo e le preparazioni dolciarie della mattina del sabato, non c’è nemmeno una goccia di sudore. Grazia rimane sempre lontana ed equidistante: dalla provocazione alla lamentela fino all’autocompiacimento.
E così i suoi dolci non sorprendono ma conseguono. Millefoglie praticamente perfetta. Friabile e croccante, crema pasticciera scarica di aromi e con la vaniglia ben bilanciata. Un dolce espresso che non è niente più che attenzione e isolamento. Creme e sfoglia sono due mondi perfettamente sigillati dal grasso.
La rivisitazione della pastiera, con farro e cioccolato, nonostante sia un filo aggressiva, mantiene comunque una friabilità e una struttura deliziose. Arancia e cacao non fanno per me.
La colomba non è alta di burro ma non è nemmeno secca. È cotta bene, dura nei giorni, è aromatica ma senza eccessi, il naso è burroso, il palato agrumato.
La sbrisolona, un dolce che di solito tengo debitamente a distanza, è super. La croccantezza lascia spazio alla friabilità. Mais, grano e mandorla si alternano sotto i denti. Grassa e poco asciutta. La tipica durezza prima dell’erosione, che me l’ha fatta sempre mettere nelle torte da accompagnare a liquidi digestivi, manca totalmente.
Affianco alle monoporzioni, alle mignon più classiche, ai semifreddi, alle meringhe e alle mimose, Grazia ha l’obbligo morale di fare il gelato. A Governolo la puzza sotto il naso non sarebbe ben vista e la divisioni dei saperi pure. Così 5 grammi di neutro, nessuna base, nessun emulsionante, solo carruba, guar, la solita dispensa di zuccheri e una materia prima discreta, danno un prodotto pulito e digeribile. Qualche strappo nella tessitura, ma un buon bilanciamento complessivo.
Grazia ha delle esigenze. Stomaco e palato devono andare di pari passo. Il salutismo non è una strada di mezzo, dove fare propaganda con slogan acquistati al circolino locale da pelli tirate a lucido attraverso ortaggi bio-componibili comprati dopo sovesci a ceci, ma è qualcosa che deve rimanere eticamente legato al concetto di buono.
La pasticceria Mazzali è la bontà in tutto il suo etimo. Ti fa sentire a casa, si sarebbe detto nei claim delle pubblicità di fine anni ’70, quando la casa erano quattro pareti con la carta da parati e un letto pulcioso da dove arguire che il vento non stava più cambiando.
Ma qui è proprio così, c’è un clima così antico, da aver voglia di spegnere i cellulari e di mangiarsi una fetta di strudel in compagnia del postino pruriginoso, perché il dono non ha mai un corrispettivo… Ecco perché…
Redazione Il Sapere dei Sapori
fonte: http://ilsaperedeisapori.it/il-nome-e-un-presagio-di-pasticceria-grazia-mazzali/
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
BREAD RELIGION
Iscriviti e ricevi le novità nella tua email.