«Sarebbe improprio chiamarmi pizzaiolo: è un mestiere che mi appassiona tantissimo, ma non metto le mani in pasta da più di un anno, quindi non voglio abusare della parola. Diciamo che ormai sono diventato un imprenditore nel mondo del food, ho 85 dipendenti…», spiega Benigno (Mino) Dal Dosso, classe 1976, bresciano di Montichiari.
E’ l’artefice di molti locali di successo nella sua zona: dal 2008 il Dal Dosso Salamensa di Montichiari, che ora è affiancato dalla birreria I love cocaine (una provocazione: in realtà vi si svolgono spesso incontri educativi contro le droghe), in collaborazione con Teo Musso di Baladin;
da pochi mesi ha vinto anche il bando pubblico per la ristutturazione e gestione per 18 anni di un bel locale al lido di Padenghe sul Garda, dove ha aperto la gelateria con cucina Copelia, direttamente sulla spiaggia, e al piano di sopra il Dal Dosso Miralago, stesso menu del Salamensa, uguale anche il designer che l’ha studiato – Ermanno Preti – e soprattutto la stessa attenzione nella realizzazioni delle pizze, del tipo “gourmet”, come si suol dire.
Partiamo allora di qui, nel raccontare la sua avventura: «Vengo da una famiglia di imprenditori nel campo degli autotrasporti, iniziai a lavorare sui camion. Poi mi sono appassionato di cibo e vino, ho frequentato due corsi Ais diventando sommelier, fino a che…».
Anno 2011: Dal Dosso scopre Simone Padoan e i suoi capolavori, «mi informo sugli impasti, mi parla di PizzaUp, provo a iscrivermi, mi accettano».
Un pesce fuor d’acqua, si definisce lui: «Ero fianco a fianco di grandi maestri come Renato Bosco o Beniamino Bilali, mentre io erano soli 4 o 5 mesi che studiavo impasti e lievitazioni. Facevo domande ingenue. Un giorno posi un problema: quando stendevo nel tegamino, l’impasto mi si ritirava, perché? “Ma almeno lo fai risposare qualche ora prima di stenderlo?”, mi chiesero. Che imbarazzo: ero proprio un principiante».
Ma con tanta voglia di apprendere. Oggi nei suoi locali si servono pizze di qualità con un unico impasto: farine Petra 3 e Petra 9 (ora fa anche esperimenti col farro), biga con lievito di birra, poi il reimpasto con lievito madre, 36 ore complessive di lievitazione, una pre-cottura al memento della massima lievitazione («Così posso anche abbattere i dischi, se necessario, e rimangono perfetti») e di nuovo in un forno elettrico Rational al momento di servire la pizza, che può essere condita con sei varianti abbastanza classiche:
c’è quella con prosciutto Sant’Ilario 30 mesi, stracciatella pugliese, mozzarella fiordilatte e basilico, c’è l’altra con acciughe del Cantabrico Nardin, pomodoro La Motticella, bufala campana, capperi e origano di Pantelleria, oppure ancora quella con gamberi rossi di Sicilia crudi, mozzarella fiordilatte, polvere di carapace e basilico.
Le pizze sono servire in piatti in ghisa roventi, per biscottarle meglio e tenerle caldo, «non capisco perché altri non facciano lo stesso».
Oggi nei ristoranti Dal Dosso la pizza gourmet va fortissimo, «e pensare che mia sorella non era convinta dell’idea».
Nei locali di Mino la bontà va a braccetto con la bellezza. Questo, grazie alla succitata collaborazione col designer Preti, col quale già nel 2008 propose i tavoloni conviviali (da qui “Salamensa”), «prima che ci pensasse anche Carlo Cracco», ironizza l’interessato.
Dal 2013, con l’ampliamento del locale di Montichiari e l’introduzione della pizza gourmet, il forno si trova a vista, al centro del locale, in un suggestivo cubo di vetro (e i coperti sono passati da 24mila a 38mila l’anno). Da qui escono tutti i lievitati che riforniscono le insegne, colazioni comprese. Prossimo step: un laboratorio di pasticceria. Dal Dosso non si ferma mai.
Carlo Passera
fonte: http://www.identitagolose.it/sito/it/209/14902/mondo-pizza/dal-dosso-una-storia-di-pizza.html?p=0
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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