Il piatto italiano più amato all’estero è la pizza. A confermare questo assunto, forse già dato per scontato, forse anche banale, è stato un sondaggio che ha coinvolto quasi seimila chef italiani sparpagliati in giro per il mondo.
Gli altri piatti che occupano la parte alta della classifica non stupiscono: la carbonara, le tagliatelle al ragù, le lasagne e il tiramisù. Insomma, ricette che rappresentano l’identità culturale gastronomica per come è sempre stata disegnata ed espressa fuori dai confini nazionali e che spesso è anche il punto di partenza su cui si basa una certa parte di gastronazionalismo ottuso e cieco. Alimenti alla portata di tutti, popolari, quasi economici.
Ma c’è un ma. Il cibo di per sé non è qualcosa di immobile e statico. Il cibo cambia il corso della sua storia, la sua occasione d’uso, il suo stare nel mondo e nei contesti socio-temporali.
Prendiamo, ad esempio, la pizza, nata come cibo da strada, consumata dal “popolo”, diventata poi trait d’union tra le diverse classi sociali e associata sempre a momenti di conviviale semplicità a tavola. Oggi, a quanto pare, le cose stanno cambiando. La pizza è il nuovo cibo dei ricchi. Da cibo dei poveri a cibo dei ricchi: un’inversione di rotta, senza dubbio, che in realtà però non lascia stupiti. Il cambiamento è in atto, infatti, già da decenni e le pizze del sabato sera con gli amici o post calcetto, sebbene esistano ancora, oggi sono soppiantate da una tipologia di prodotto diverso, più vicino al mondo dei ristoranti gastronomici, rispetto a quello delle pizzerie classiche anni Novanta.
Il prossimo trend sarà poi quello della pizza all’interno dei grandi alberghi: altra rivoluzione in atto, che testimonia ancora di più come cucina e pizzeria stiano andando verso lo stesso destino. Se un tempo, infatti, la ristorazione all’interno delle strutture ricettive non godeva di chissà quale vita e fortuna, oggi la situazione sta evolvendo in modo radicale: anzi, legarsi all’hôtellerie sembra essere uno dei pochi modi possibili per migliorare la sostenibilità dei ristoranti stessi, che, senza un appoggio economico stabile e una diversificazione delle fonti di reddito, fanno fatica ad andare avanti.
Forse sarà lo stesso destino a segnare la pizza, ma il fatto stesso che da cibo popolare ed economico stia diventando qualcosa legato al lusso fa riflettere. D’altronde, però, la realtà è chiara. Flavio Briatore, ad esempio, che dell’economicità della pizza si è sempre disinteressato, ha dichiarato di voler concludere il 2024 con venti ristoranti in attivo del marchio Crazy Pizza: nonostante le critiche iniziali per i costi al pubblico delle pizze offerte nei suoi locali, l’imprenditore piemontese non conosce crisi neppure quando si parla di pizza e i suoi ristoranti, posizionati in strategiche località vacanziere del lusso, gli riportano un costante aumento di fatturato, a dimostrazione del cambiamento che sta subendo il cibo italiano più conosciuto e desiderato al mondo.
D’altronde il mondo corre velocemente e neppure Napoli è più la capitale della pizza. Il suo posto è stato preso di diritto da Milano, che ogni anno continua ad aumentare il numero di pizzerie presenti in città, con modelli tendenti al settore lusso e non più alla pizza semplice da mangiare con gli amici in un’atmosfera rilassata. La pizza a Milano è una cosa seria e si prende il giusto spazio per espandersi nelle declinazioni moderne: napoletana, gourmet, contemporanea, romana. E si spinge anche in abbinamenti non convenzionali, quelli al di là di pizza, birra e Coca-Cola.
È in atto una nuova tendenza, i dubbi non possono esserci: la pizza si prende un nuovo posto, in un percorso iniziato anni fa, quando Simone Padoan gettò le basi per quella che possiamo considerare la pizza gourmet e ora va avanti verso una strada che porta dritto verso il settore del lusso. Certo, non sarà una strada senza ritorno, la storia è ciclica, anche quella del cibo: ciò che ci auguriamo è che la pizza possa continuare a restare nella sua essenza migliore, quella di un alimento buono, goloso e confortante, al di là del suo essere di moda o tendenza, che forse è un po’ ciò che ha segnato il declino della passione per la cucina in generale.
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Redazione Linkiesta Gastronomika
fonte: https://g2i7i.emailsp.com/f/rnl.aspx/?lek=t31ow/4c0lk=v2&x=pv&l-=xwr12-d2bc=&x=pv&cak7806b7&f3&x=pp&y1e.3-ih60m2b0e=2w3xwNCLM
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