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come e dove Petra arriva in tavola
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FUORI DALLA PORTA

I luoghi dedicati solo agli adulti sono una realtà da tempo. Hotel, ristoranti, a volte anche voli aerei, posti dove ci si rifugia per qualche ora lontano dal chiasso e dal rumore della vita...

Certo, quando sono nati i primi locali “adults only”, l’opinione pubblica non li ha visti di buon occhio. Come si possono lasciare fuori i bambini? Come non tollerare le risate e il chiacchiericcio degli esseri umani più puri al mondo? Solo per poi rendersi conto che tutti, genitori compresi, a volte abbiamo bisogno di quel meraviglioso silenzio che solo un ambiente privo di bambini può regalare. Via la falsa ipocrisia! E se guardiamo i dati delle ultime stagioni turistiche, ci accorgiamo che spesso gli hotel “solo per adulti” sono addirittura in sovraffollamento (piccolo avvertimento se siete in ritardo con la prenotazione delle prossime vacanze estive e stavate sognando un luogo senza bambini).

Ma cosa succede se questa tendenza viene esasperata al punto da mettere un limite di età anche per gli adulti?

È successo nella contea di St. Louis, nello stato del Missouri, dove una coppia, Tina e Marvin Pate, ha deciso di aprire un ristorante vietato alle donne sotto i 30 anni e agli uomini sotto i 35 anni. L’idea del Bliss Caribbean Restaurant è nata dall’atmosfera vissuta in vacanza dai due proprietari, che hanno potuto sperimentare un nuovo modo di vivere il relax in ambienti dedicati esclusivamente a una clientela adulta. «Per garantire un’atmosfera adulta e sexy, richiediamo che tutti gli ospiti abbiano 30 anni o più per le donne e 35 anni o più per gli uomini. Questa politica ci aiuta a mantenere un ambiente sofisticato, a sostenere i nostri standard e a preservare la sostenibilità del nostro ambiente unico», si legge in un post su Facebook.

È un’esagerazione? Qualcosa studiata a tavolino dal marketing per farsi notare? A parte le questioni legali legate alla politica del ristorante (sembra che ci siano implicazioni discriminatorie nella questione), ciò che balza all’occhio è una tendenza che non può essere ignorata. I ristoranti e le pizzerie sono sempre stati luoghi di condivisione del cibo, di un’esperienza culinaria, di un momento da vivere insieme. È l’essenza stessa dell’atto del nutrirsi, quella di condividere il cibo con gli altri. E, soprattutto, dopo la pandemia, c’è chi ha pensato che forse questo aspetto goliardico ed emotivo del convivio potesse tornare più forte di prima, a causa della privazione di socialità a cui siamo stati costretti. Eppure sembra che non sia stato così: aumentano i dati relativi al cibo da asporto e a domicilio e anche, a quanto pare, le richieste per vivere i momenti legati al cibo fuori casa in un’atmosfera più elitaria e meno confusionaria.

Nel progetto della coppia in questione, l’obiettivo è chiaro: fino a una certa età si vive forse con troppo entusiasmo e in modo diverso rispetto alle persone più mature, con le quali non si hanno punti di incontro in termini di gusti, scelte musicali e modi di vivere. Ma sembra che si stia andando verso una direzione di non tolleranza dell’altro, senza se e senza ma. E se venisse meno proprio quella caratteristica del mangiare, del mangiare insieme, del riunirsi intorno alla tavola, dello scambiarsi le emozioni? È vero che il rapporto con il cibo stesso cambia a seconda dell’evolversi della cultura, ma la perdita del valore della connessione con l’altro e il trasformare l’atto del nutrirsi in qualcosa di esclusivo trasformerebbe il cibo in qualcosa che non è, che non è mai stato e che forse non vorremmo fosse. Perché il cibo è proprio questo: inclusione.


Redazione Linkiesta Gastronomika
fonte:
https://g2i7i.emailsp.com/f/rnl.aspx/?lek=t31ow/4c0lk=v2&x=pv&l-=xwr12-d2bc=&x=pv&cak7806b7&f3&x=pp&y1e.3-ih60m2b0e=2w3xwNCLM

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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