«È giusto che la gente ci veda lavorare. Non abbiamo niente da nascondere» mi dice orgogliosamente Luigi Migliavacca, titolare con il fratello Alessandro della pasticceria Alberto Migliavacca di via Ajaccio 13, all’Ortica. Il fratello si occupa della credenza e dei gelati, lui dei prodotti da forno, quindi del panettone.
Gli chiedo se conosce Bernasconi della pasticceria San Gregorio, che ho intervistato cinque giorni fa.
«La pasticceria sì, lui no. Da quando non c’è più l’APAL conoscersi è più difficile».
Nelle sue parole leggo un po’ di rimpianto dell’Associazione Pasticcieri Artigiani Lombardi. In effetti oggi c’è l’EPAM, Esercizi Pubblici Associazione Milanese, che coinvolge solo le pasticcerie con bar, e non è il caso di Migliavacca.
«Per unirci di nuovo ci vorrebbe qualcuno che avesse molto tempo e molta voglia. Ma se fai il pasticciere… E poi ci vuole anche la testa».
Torniamo alla sua pasticceria.
«Mio padre Alberto ha aperto nel 1958 in via Amadeo. Pochi anni dopo si è spostato qui in via Ajaccio, ma i locali erano più piccoli. Io sono nato nel 1963. Ho imparato da lui a fare il panettone, anche se poi ho cercato di migliorarlo. Spero di esserci riuscito, e le vendite mi danno ragione».
Che cosa significa migliorare?
«Significa che per esempio nel 1994 sono andato a frequentare alla scuola Etoile di Sottomarina (VE) un corso di Achille Zoia sui lievitati e da allora ho il mio lievito madre, che utilizzo a Natale per il panettone e tutto l’anno per le brioche e per i kranz. Migliorare significa anche aumentare le dosi degli ingredienti – burro, uova, zucchero, uvetta, frutta candita – rispetto alla farina».
Quali tipi di panettone produce, e quanto?
«Puntiamo sul panettone classico, alto. La nostra clientela è legata alla tradizione. Per chi me lo chiede, preparo anche panettone all’ananas o con gocce di cioccolato. Quest’ultimo, su richiesta, può essere anche ricoperto di cioccolato e decorato con paesaggi natalizi. Le pezzature sono varie: 500 g, 750 g, 1 kg, 1,5 kg, 2 kg, 3 kg, 5 kg.
A settembre cominciamo con le veneziane. La produzione, dai primi di novembre fino alla fine dell’anno è di 65 quintali. Ci sono giorni che maneggiamo fino a 3 quintali di impasto. In quei periodi bisogna ringraziare chi mi sta vicino, perché deve avere grande pazienza. Poi continuiamo con il panettone fino a San Biagio».
I suoi due collaboratori, sentitisi chiamare in causa, sorridono. Sono Davide Gervasoni e Roberto Fonseca. Il primo aiuta soprattutto per il forno, l’altro per la credenza, ma nei giorni più caldi di dicembre sono tutti intorno al panettone. Ad aiutare in negozio sono anche le mogli dei due fratelli, Carla Freschini di Alessandro e Valentina Oppio di Luigi. Il discorso si sposta sugli ingredienti.
«Utilizziamo farina Vigevano PS, burro Galbusera, uvetta turca e canditi Emar Romeo».
Conservanti?
«Zero. A proposito della conservazione, secondo me il panettone non va mangiato subito. Occorrono alcuni giorni, anche una settimana, perché tutti gli aromi si amalgamino. Poi, naturalmente, una cosa è un panettoncino da 500 grammi, un’altra uno da 5 chili. Non per altro comincio la preparazione dai più grossi e finisco con i più piccoli».
Può rivelare qualche segreto?
«Nell’acqua dell’impasto aggiungo un po’ di vino di Malaga, come faceva mio padre. Il lievito lo rinfresco due volte in una giornata, non tre come fa Achille Zoia, e nell’impasto metto tutta la farina la sera, non un po’ la sera, un po’ la mattina, come fa sempre lui, il mio vecchio maestro. Ma d’altronde si sa, ciascuno ha le sue abitudini. E squadra che vince non si cambia».
La sua clientela?
«Di zona, ma anche del resto di Milano e di fuori. Per esempio, i migliori acquirenti di panettone da 5 kg sono notai di Napoli. Comunque, trovo che il panettone artigianale, almeno il mio, sia in ascesa. Magari la gente spende meno in generale, ma quando arriva Natale, vuol mangiare qualcosa di buono».
Un po’ di filosofia.
«Mio padre diceva: quando credi di essere capace di fare il panettone, è la volta buona che sbagli. Il difficile del panettone è il lievito. Essendo un artigiano, io lo controllo con gli occhi. E i miei trentadue anni di esperienza mi dicono che ogni impasto è diverso dagli altri. Basta che si apra la porta ed entri una corrente d’aria fredda in laboratorio, e tutto cambia».
Sono di Murano? chiedo alla signora Valentina alludendo a tre lampadari rossi nell’area espositiva del negozio.
«Sì. È stata una piccola follia fatta l’estate scorsa, in occasione della ristrutturazione».
Ma ne è valsa la pena, perché sono straordinari. Mi congedo guardando la foto del bambino di sette anni di Luigi e Valentina, con tanto di grembiule e cappellino, mentre impasta. Il padre non vorrebbe, perché è una vita dura, ma forse si sta preparando una terza generazione Migliavacca".
Stanislao Porzio
fonte: https://ilpanettone.wordpress.com/2009/06/17/migliavacca-il-panettone-dellortica/
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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