“Più che impasti alternativi, oltre a quelli base faccio multicereali e canapa sativa, e come impasto base utilizziamo farine macinate a pietra con idratazione al 75% con impasti che non hanno mai meno di 48 ore di lievitazione offrendo così una pizza per sapore e profumo più intensi, più digeribile, esternamente più fragrante, sempre con la sofficità interna della pizza napoletana.
L’idea dei cocktails nasce da quando sono stato in America, a 18 anni sono andato a Los Angeles dove era già una filosofia, sotto tutti i punti di vista. Sono rimasto affascinato ed ho avuto il desidero di abbinarli alla pizza e ora sto cercando di esprimermi in modo che una parte degli ingredienti richiami l’abbinamento con il drink affinché siano complementari.
Per quanto riguarda le materie prime parto sempre dalla mia terra, la Campania, dove trovo tutti i prodotti che fanno parte di me fin dall’infanzia. Sono ingredienti che permettono di far vivere delle emozioni, se non si ha qualcosa da raccontare non si ha qualcosa di appagante.
Cerco di fare una ricerca. L’apertura a livello internazionale serve per ampliare la mia mente, trovare sempre prodotti nuovi, fare una fusione, un mix delle culture che io amo. Cerco di fondere, ad esempio, se mi piace qualcosa di orientale come l’Alga Wakame, un’alga giapponese che farò soffiata su una pizza, perché mia nonna a Napoli mi faceva le zeppole fritte con l’alga dentro. Faccio notare che mi influenza molto il mondo asiatico – che io amo – e su questo creo un racconto unendolo a un ricordo d’infanzia, che è un bel racontare!”
Come nasce il pizzaiolo Gennaro Battiloro?
“Nasce come un ragazzo che non ha mai voluto studiare, che è sempre stato bocciato a scuola, che non voleva saperne del lavoro e che con tante difficoltà a terminare gli studi, l’alberghiero. Poi mi rendo conto che la cucina come ambiente non mi appaga più di tanto e mi viene in mente di chiamare uno zio che ha una pizzeria di famiglia a Torre del Greco. Gli ho chiesto di prendermi a lavorare e da quando ho visto la farina e gli elementi di un impasto diventare un impasto vivo, toccarla con le mani, il sentore, l’anima ha scatenato dentro di me una passione, un desiderio, che tutt’ora è più vivo del normale.
Da lì nasce tutto il mio percorso con l’Associazione Verace Pizza Napoletana – AVPN – di cui sono il responsabile per la Toscana dal 2010. Faccio esperienze in giro per il mondo tra Spagna, America, Inghilterra, fino ad incontrare Franco Pepe con cui faccio un’esperienza che mi cambierà definitivamente, sotto tutti i punti di vista. Così poi decido di aprire il mio locale.”
Gennaro Battiloro è ventesimo e primo in Toscana in 50 Top Pizza, pizzaiolo dell’anno per la Guida Ristoranti Espresso, Tre Spicchi nella Guida del Gambero Rosso, Maestro degli impasti per il Gambero Rosso, Pizzaiolo d’Italia per Identità Golose, Pizzaiolo dell’anno per l’Espresso. Riconoscimenti molto importanti.
Te l’aspettavi?
“No, ma in me c’è sempre stata la speranza di fare questi step, di raggiungere certi risultati, e la mia ambizione aumenta ogni giorno. La vita è una sola, se non cerchiamo di raggiungere determinati risultati potremmo dire di averci provato o di esserci riusciti. Io non ci sono ancora riuscito, sono tutti punti di partenza, per crescere, momenti di confronto, episodi che ti mettono alla prova per capire lo stato d’animo, dove voglio arrivare. Sul palco di Identità Golose dentro di me c’era una roulette allucinante, essere tra Cracco e Oldani è bello.”
Le pizze di Gennaro Battiloro sono rigorosamente napoletane, di altissima qualità grazie agli impasti con lenta lievitazione e agli ingredienti selezionati.
Qual è la pizza che più ti rappresenta?
“La mia è una pizza napoletana che rappresenta l’identità di Gennaro Battiloro, fatta a modo mio, che deve rispecchiare chi la fa. Ho apportato degli accorgimenti per personalizzarla. Non faccio una pizza che non mi rappresenti, non avrebbe senso mettere una pizza che non abbia qualcosa di mio. L’ultima speciale che ho portato in carta è ‘Cavolo e cotena’ (‘cavolo e cotenna’). Sarebbe l’interpretazione di un piatto poverissimo che preparava mio nonno nel primo dopoguerra, la zuppa di cavolo e cotenna. Non si buttava via niente, anche io sono cresciuto mangiando questi piatti, riprendendo l’idea di questo ricordo ho creato una pizza speciale, dandole una faccia più contemporanea.
Ho fatto una crema di cavolo viola, una burrata affumicata, il gambero rosso di Mazzara del Vallo crudo e la cotenna soffiata. Croccantezza, temperatura, consistenze diverse…in ogni piatto cerco di creare sempre un ascensore in bocca perché il palato è collegato alla mente e la mente è collegata all’anima. Ci deve essere un ragionamento che ti colpisce, tutto molto personale e identitario.”
Quando crei una nuova pizza?
“Non ho limiti. Se mi sento di fare una pizza nuova alla settimana la faccio, se per un anno non ho stimoli non creo nulla. Mi considero uno spirito libero, non mi do regole, non do regole, non do limiti. L’unico modus operandi da seguire è quello mio, deve essere un flusso fluido continuo, senza obblighi né forzature, senza il dovere di, quando c’è il racconto, lo stimolo, la possibilità, si fa.”
Proponi anche l’impasto alternativo con Farina di Canapa Sativa biologica. Come nasce?
“La particolarità è che il sapore è totalmente diverso, ha un retrogusto più ferroso, minerale, erbaceo. Ogni giorno leggo per essere sempre al passo con le novità e a livello di impasti mi mancava qualcosa.”
Sei molto attento alle farine. Come le scegli?
“Quando ho iniziato, un po’ come tutti, utilizzavo impasti brevi, freschi, con poca maturazione, con farine molto deboli che permettevano questa lavorazione. Oggi collaboro con Molino Quaglia – Petra, farine con cui ho creato un mio blend, dalla tipo 2 – 0 – 1 in percentuale, che mi danno una scioglievolezza maggiore, un profumo più intenso.”
Che caratteristiche dovrebbe avere chi fa il tuo mestiere?
“Rappresentare se stesso, non aver paura di azzardare, di fare un prodotto che identifichi la persona che lo fa, essere umile, curioso, intelligente, non montarsi la testa. Requisiti base, fondamentali. Poi dopo ci sono le sfumature personali.”
Quanto conta la formazione per approcciarsi a questo mestiere?
“Tanto, anche se quando faccio l’impasto parto da una ricetta base, poi dopo la tecnica metto in atto la sensibilità delle mani. Tutto quello che riesco ad ottenere a livello visivo, tattile. Se chi lavora l’impasto entra in sintonia con la sensibilità delle mani ci si rende conto che l’impasto sta parlando in base a questi cambiamenti. Se non abbiamo la sensibilità non riusciamo a comprendere.
L’artigiano ti dà quel quid in più, perché riesce a sviluppare quella sensibilità che ti fa capire quando continuare e quando stravolgere l’impasto, come trattarlo. Ci vuole un po’ di pazzia. Tutte le teorie degli impasti per me non hanno senso, l’imposto si fa con la sensibilità. Tecnica e fattore umano, devono camminare insieme. Con gli occhi o dal profumo sento com’è. L’impasto è come un bambino, se lo nutri bene cresce.”
La pizza, un grande classico. Sei felice per la nomina dell’arte del pizzaiolo come patrimonio dell’UNESCO?
“Sono contento, ma non mi cambia la vita, è un riconoscimento come tanti altri, non ci vedo niente di nuovo, per tante persone il pizzaiolo è ancora una persona che ha iniziato questo lavoro perché ignorante. Bisogna lavorare sui libri di testo delle scuole, sui libri delle panificazioni, sul bisogno di parlare di bacche di vaniglia e di tempistiche diverse per ciascun lievito… allora così entri nelle case delle persone e se un bambino rimane stupito poi impara tutta la famiglia. Certo poi che l’UNESCO dia un riconoscimento mi fa piacere.”
Un collega che stimi particolarmente.
“Franco Pepe, è l’olimpo, una persona che mi ha cambiato la vita sia a livello professionale che umano. Poi Renato Bosco e Simone Padoan.”
Qual è il segreto per fare una buona pizza?
“La conoscenza intesa sia come conoscenza tecnica che empirica. Non ci sono segreti, il segreto è saperla fare, i segreti di cucina non esistono, deve rappresentare chi la fa.”
C’è un personaggio famoso a cui ti piacerebbe far assaggiare una tua creazione?
“Antonino Cannavacciuolo. Io e lui siamo nati e veniamo dalla stesa zona, da Torre del Greco, a Sorrento, tra di noi ci sono pochi chilometri di distanza e anche io vengo da una famiglia di pescatori. Conosciamo gli stessi street food, l’acqua di polpo e l’emozione che lui prova nel raccontare questi episodi d’infanzia sono anche i miei. Mi ci rispecchio. Mi piacerebbe fargli capire che è bello mettere in contatto un’emozione con un’altra emozione.”
C’è una pizza che odi fare?
“Tante. Qui c’è una pizza speck e mascarpone che tutti fanno: io, Gennaro Battiloro, giuro che la odio. Anche con würstel e patatine fritte…”
Cosa custodisci in fondo al cuore?
“Un desiderio che debba rappresentare un po’ tutti. Bisogna smettere di odiarsi ed iniziare ad amarsi e volersi bene. Avere uno scambio reciproco, intelligente, positivo, soprattutto in questo ambiente, se non c’è un buon feeling non c’è bisogno di sputtanarsi. Investire il proprio tempo per crescere, con onestà e positività, prima che intellettuale umana. Non ha senso perdere tempo a parlare male degli altri. Il poco tempo che ci rimane fuori dal lavoro bisogna essere persone migliori.”
2019. Il tuo desiderio più grande per l’anno che verrà?
“Fin da quando ha aperto Battil’oro riuscire a portare il mondo dei lieviti e degli spiriti della pizza e dei cocktails facendoli conoscere al mondo, toccando tappe dall’America all’Asia, facendo passare il concetto più che il mio nome, prima di tutto l’identità, l’ideologia, il fatto nella maniera in cui lo faccio io, trasmetterlo negli eventi che farò in giro per l’Italia.”
Stefania Bacchini
fonte: https://www.tuscanypeople.com/gennaro-battiloro-miglior-pizzaiolo/?fbclid=IwAR34ABo6PL13QBnbAo6RsOPlMwVP5oVJ2hDlE0iJx1s9Z7yWyyRW76l9O70
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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