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Jim Lahey, senza impasto dall'Italia a New York

Spesso si sottolinea la differenza tra l'artigiano – come solitamente ama definirsi chi lavora con il cibo – e l'artista, ma nel caso di Jim Lahey potrebbe essere difficile.

Panificatore e pizzaiolo americano – titolare della mitica Sullivan Street Bakery da 20 anni, e dal 2009 anche della pizzeria Co. Lahey “nasce” scultore e ha il temperamento dell'artista, concentrato quando serve ma in perenne cerca di ispirazione.

E in patria viene riconosciuto come un rivoluzionario, per la sua tecnica d'impasto particolare che riprende un'antica tradizione italiana.

In occasione del tour di presentazione dell'edizione italiana del suo libro “Pane senza impasto” (Guido Tommasi Editore), lo abbiamo incontrato per farci raccontare del suo metodo per fare il pane (e la pizza), e del suo rapporto con l'Italia.

«Ero venuto qui, nel 1986, per studiare da vicino gli artisti italiani – racconta Jim – ma la vera rivelazione fu l'approccio al cibo, l'abitudine a mangiar bene e a fare attenzione a quel che si metteva nel piatto. Una cosa totalmente nuova per me, negli USA di 30 anni fa». 

Jim torna negli States e, tra delusioni d'amore, l'insofferenza per il junk food e le difficoltà dell'ambiente artistico, scopre di trovare sollievo in una cosa sopra ogni altra: la cucina, e l'impasto.

«Per me fare il pane era una specie di autoterapia: dormivo con la pagnotta accanto al letto!». Una volta deciso che l'arte bianca sarebbe stata la sua strada, nel '91 torna in Italia per studiare: questa volta con i panificatori italiani, a San Gimignano, Roma, Genzano.

È da qui che nasce la sua “rivoluzione”: niente rinfreschi continui e procedimenti complicati, il pane buono è alla portata di tutti.

Come facevano una volta le donne di casa che avevano poco tempo, servono farina, sale e poco lievito secco; si aggiunge l'acqua, si mescola velocemente e si lascia fermentare l'impasto, dando il tempo di crescere.

Una volta pronto si tocca appena, poca pieghe ed è fatta. Dopo un altro riposo in canovaccio, l'impasto si passa in una pentola in ghisa scaldata a 250°, coperta per intrappolare l'umidità, e poi si cuoce; servono pochissima fatica, attrezzatura base e un po' di pazienza.

«Il pane è sempre stato semplice – dice Jim – siamo noi che lo facciamo complicato». Stesso procedimento per la pizza, che ha però un impasto meno idratato e più consistente per poter essere lavorata.

Qualche fortunato ne ha potute assaggiare alcune in occasione della serata organizzata a novembre con Katie Parla da Emma, a Roma, per la presentazione del libro.

Gli altri, possono andare a trovare Jim nella Grande Mela.

Luciana Squadrilli
fonte: 
http://newsletter.identitagolose.it/email.php?id=480

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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