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Il frico come dessert tra passato e futuro


Qualche giorno fa a Gorizia, a Gusti di Frontiera 2019, ci siamo imbattuti in un caso assai singolare...

Il focus del classico approfondimento che accompagna la kermesse era quest'anno sul frico, noto piatto a base di formaggio di varie stagionature, patate e cipolla, considerato la preparazione culinaria più tipica del Friuli, più precisamente della Carnia.

Due chef erano stati chiamati a darne un'interpretazione creativa: da una parte Riccardo Gaspari, del SanBrite di Cortina d'Ampezzo, dall'altra Michela Fabbro, del Rosenbar di Gorizia.

Il primo ha presentato una propria riebolazione contemporanea, vagamente contaminata (olio di larice, dall'Austria); la seconda ha invece innescato un processo che Corrado Assenza avrebbe definito di retroinnovazione, in questo caso involontaria. Ossia: un'innovazione in cucina che deriva dalla riscoperta di una tecnica, un'elaborazione, una lavorazione che sono storiche, ma risultano "nuove" perché in realtà ormai dimenticate da tempo.

L'idea della Fabbro è stata infatti di declinare il frico come dessert: «Lo volevo abbinare con le pere, andando a recuperare il classico matrimonio che, nel mondo rurale, si faceva di questo frutto col formaggio. Solo dopo mi sono accorta che il frico nasce proprio come preparazione dolce. No lo sapevo, l'ho scoperto dopo». Spieghiamo.

Poiché piatto di recupero - il frico nasce quale preparazione finalizzata all'utilizzo dei ritagli di formaggio detti strissulis, sottili strisce, parte in eccesso dopo la sagomatura delle forme - è probabile che, durante il nostro Medioevo fosse una pietanza salata, popolare in tutto il mondo rurale, non a caso a Gusti di Frontiera il bistellato udinese Emanuele Scarello ne ha tracciato un profilo siffatto:

«Patata e formaggio sono due ingredienti che, abbinati, sono patrimonio di tutta la cultura alimentare delle Alpi. Da noi in Friuli questo connubio dà vita al frico; se andiamo in Alta Savoia troviamo qualcosa di analogo, un piatto che pure mette insieme patate, guanciale, cipolla e formaggio, ma con tutte le componenti mescolate e gratinate al forno. È la tartiflette. In Valtellina il formaggio e la patata sono il condimenti perfetti dei pizzoccheri. E se sconfiniamo in Svizzera c’è il rosti di patate… 

Cambiano il nome e le tecniche, ma sono declinazioni della stessa cultura. Noi friulani stessi, oltre al frico, abbiamo il file e daspe, altra bontà della tradizione carnica: nel primo la patata viene tostata in padella, nel secondo invece è bollita, così diventa fondente ed è condita con una crema di formaggio acidificato con aceto».

Tante versioni diverse. Ma sempre una portata salata. C'è un però: la prima ricetta scritta nella storia di un piatto in qualche assimilabile al frico risale a Maestro Martino da Como. Questi, cuoco, gastronomo e letterato lombardo - servì a lungo gli Sforza - si trovò per qualche anno a cucinare anche per il Patriarca di Aquileia. Probabile, dunque, che proprio lì si sia imbattuto in questo frico salato. E probabile, anche, che abbia voluto nobilitarlo, aggiungendovi due ingredienti all'epoca costosi e appannaggio delle classi alte, lo zucchero e la cannella, trasformandolo quindi in un dessert...


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Carlo Passera
fonte: https://www.identitagolose.it/news/?id=217

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