Attorno alla riscoperta dei grani antichi, però, si è creata inevitabilmente una grande confusione. Una su tutte la convinzione che il “Kamut”sia un tipo di cereale antico e, invece, è solo il marchio con il quale un’azienda americana del Montana produce e commercializza una varietà di frumento.
A fare chiarezza ci prova Gabriele Bindi, giornalista che da anni si occupa di ecologia e biodiversità, con il libro "Grani Antichi, una rivoluzione dal campo alla tavola, per la salute, l’ambiente e una nuova agricoltura" appena pubblicato per "Terra Nuova edizioni".
Una vera e propria guida (presentata di recente all’assemblea nazionale di “Simenza” tenutasi a Novara di Sicilia) nel mondo variegato dei grani di nicchia, ma soprattutto un viaggio attraverso le regioni italiane e l’agricoltura ecosostenibile. Il libro, 172 pagine con interviste a genetisti, produttori, pastai, panettieri, è la fotografia di un’Italia che ha scelto di dissotterrare un vero tesoro alimentare, quello dei grani antichi.
«Questo recupero dei grani antichi - sostiene Bindi - è un modo per gli agricoltori di differenziarsi, però dietro c’è anche un recupero di tradizioni, culture, conoscenze verso l’antico che si coniuga con un’idea moderna di futuro. Sono, infatti, prevalentemente i giovani a dedicarsi a questo tipo di coltivazioni».
In Sicilia come siamo messi?
«Qui in Sicilia esiste un problema di tracciabilità e si dovrà affrontare nel momento in cui alcune varietà locali saranno registrate. In Sicilia sono state censite 52 varietà di grano che sono importanti per la salvaguardia della biodiversità e hanno caratteristiche diverse».
La Sicilia, è la più grande regione vocata al biologico in Europa, però la maggior parte della produzione va fuori... «Il 96% delle produzioni bio per la precisione. Paradossalmente quello che producete in Sicilia va ai magazzini del Veneto e ritorna poi in Sicilia, un’assurdità».
La proposta?
«Stringere il più possibile la filiera attorno a delle realtà conosciute, identificabili, che stanno sul territorio e che lavorano bene. Magari realtà piccole che però, stanno nascendo e si stanno consolidando.
Qui ho trovato realtà come “Simenza” (l’associazione di agricoltori “custodi”, ricercatori e appassionati della biodiversità siciliana ndr), oppure la filiera dell’Hymera e dell’Halycos che promuove la produzione e la commercializzazione di pane e pasta di grani antichi prodotti nel centro della Sicilia, ci sono forni e mulini che lavorano molto bene.
Questo per dire che la filiera si costruisce dal basso, cosa che costituisce anche la migliore garanzia per il consumatore».
Coltivare grano antico rende di più economicamente?
«C’è un grosso entusiasmo per i grani antichi, anche perché vengono pagati 50/60 centesimi al chilo (e non 17 come il grano comune), ma se va bene, di grano antico ne produci la metà. E’ vero che hai meno bisogno di mezzi agricoli, però, devi essere supportato, devi avere le giuste consulenze.
La Sicilia ha una forte vocazione per i grani duri che il Nord Italia non ha ed è una regione che ha conservato anche una certa tradizione familiare in agricoltura con memorie, conoscenze, grandi competenze.
Coltivare nelle zone marginali non farà mai registrare grossi numeri, però consente il presidio sul territorio e questo ha un valore economico importantissimo e rappresenta anche una tutela per preservarlo. Su terreni molto azotati e “saponificati”, l’acqua va via, se, invece, su quel terreno sono state rispettate le giuste rotazioni, l’acqua viene assorbita».
Ad un ragazzo diplomato all’Agrario che volesse buttarsi in questo settore che consiglierebbe?
«Di stare con i piedi per terra. E’ essenziale fare rete tra gli agricoltori, rendendo trasparenti i passaggi della filiera che deve essere cortissima».
Carmen Greco
fonte: http://www.lasicilia.it/news/cum-grano-salis/52119/tutti-alla-riscoperta-dei-grani-antichi.html
Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)
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