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Rivoluzioni in corso

"Pizza. Non si parla d'altro. Tutti i maggiori gastronomi rivolgono la loro attenzione alla pietanza più amata del mondo". 

"È accaduto qualcosa. I pizzaioli hanno preso coscienza dell'importanza della propria arte. Ma qualcuno si è pure accorto di loro. Come un improvviso colpo di fulmine tra due persone che si conoscono da sempre. È incredibile cosa e quanto è accaduto in questi ultimi due anni. Ripensiamoci." 

Parole che aprono un post pubblicato il 27 marzo da Monica Piscitelli sul suo blog. Un post che effettivamente mi ha fatto ripensare a quanto abbia inciso, evidentemente anche su Napoli, il movimento della pizza italiana contemporanea nato nel 2007 con l'avvio del progetto Università della Pizza.

La prima pagina web, pubblicata appunto nel 2007, metteva già allora in evidenza che "aumenta la domanda di chi vuole consumare pizze con ingredienti genuini di alta qualità, perché la pizza può diventare un'alternativa rispetto al ristorante, perché chi non conosce gli impasti giusti si pregiudica la possibilità di servire anche la seconda pietanza o il dolce”. 

Dal 2007 ad oggi Università della Pizza ha "diplomato" più di 600 pizzaioli e sono nate in tutta Italia pizzerie che curano il prodotto e il servizio al pari di un buon ristorante e pizzaioli che antepongono ai volumi da fast food la ricerca della qualità e la conoscenza degli ingredienti.

E ogni anno i migliori di loro hanno animato i lavori di PizzaUp, il primo simposio tecnico sulla pizza italiana, ancora oggi espressione unica di un evento che alle "gare di pizza" ha sostituito il dibattito tecnico tra pizzaioli ed esperti di alimentazione, tecnologia, materie prime, marketing e comunicazione.

Dibattito tecnico e test di laboratorio su argomenti fondamentali per la realizzazione di una pizza buona e sana, quali le tecniche di impasto e di lievitazione con pasta madre e biga che esaltano la digeribilità della pizza (2007);

la scelta della farina più adatta per caratterizzare il gusto, la struttura e il profilo nutrizionale della base della pizza (2008);

l'effetto dei tempi di lievitazione e di maturazione sulla digeribilità della pasta (2009);

gli effetti di diverse tecniche di stesa e di cottura (2010);

la pizza servita a spicchi in degustazione secondo una sequenza logica che dipende dagli ingredienti di farcitura (2011);

e, infine, la pizza 100% italiana dal grano ai condimenti e il Manifesto della Pizza Italiana Contemporanea (in collaborazione con alcune tra le più importanti firme del giornalismo enogastronomico italiano) (2012).

Effettivamente una rivoluzione, non solo nella pizza intesa come prodotto della cucina italiana, ma soprattutto nel modo di intendere il lavoro da parte di quei pizzaioli che hanno messo da parte espressioni di puro narcisismo per concentrarsi sulla ricerca e sul miglioramento continuo.

Sono d'accordo con Monica Piscitelli quando scrive (non essendo né l'unica né la prima) che sono "forse destinate a morire, le manifestazioni di massa, quelle che sono state per decenni la via privilegiata per comunicare la figura di taluni pizzaioli. Un'impostazione dell'attività delle associazioni che aveva come target un popolo indifferenziato e che, lentamente, sta passando in secondo piano, per fortuna. Con tutto il corredo delle pizze acrobatiche colorate e i piatti in plastica. A tutto vantaggio di eventi più selezionati e raccolti. Dove la pizza si degusta e non si mangia".

Piero Gabrieli
fonte: 
http://newsletter.identitagolose.it/email.php?id=401

Leggi il testo integrale nel link FONTE (qui sopra)

 

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