Quelle pizze nascono dalla fatica dell’impasto, figlie soprattutto di farine e lieviti: i due ingredienti, vivi per antonomasia, con i quali ogni pizzaiolo instaura una relazione dai contenuti quasi umani.
Mi chiedo allora perché mai, dal menu alla presentazione in tavola, quasi mai capiti di leggere o ascoltare quali farine, quali lieviti siano stati usati nell’impasto, e perché quelle farine e lieviti il pizzaiolo abbia scelto per realizzare il piatto che più lo rappresenta.
Dire solo che una farina è “doppio zero” o “tipo 1” o “semintegrale” (termine quest’ultimo di nessun significato né tecnico né normativo) è di poca utilità per il consumatore e non risponde alle domande precedenti.
È il paradosso del pizzaiolo, fiero del suo impasto, che trasmette il valore della pizza mettendo in evidenza quasi sempre gli ingredienti che la condiscono (come pomodoro e mozzarella, fino al kiwi e allo stupefacente ananas). E quando il pizzaiolo parla della tradizione che ha dato i natali alla sua pizza, mai in quelle storie di famiglia compare l'indicazione di quali grani, quali farine e quali lieviti i suoi avi abbiano scelto nel tempo per dare identità al loro prodotto.
Forse è un segreto da custodire gelosamente? O nessuno degli attori di quelle storie sa il vero motivo per il quale ha usato una farina piuttosto che un’altra?
Il mio personale punto di vista è che, in questo pensiero, i pizzaioli centrino poco o nulla. È la farina in sé ad aver perso di attenzione mano a mano che gli anni del benessere allontanavano i consumatori dai cibi più poveri dei periodi di guerra.
Oggi, però, i figli e i nipoti di quei consumatori hanno sviluppato una nuova sensibilità verso gli ingredienti quotidiani della loro alimentazione, parallelamente a un senso estetico che li porta a preferire piatti non solo buoni, ma anche belli.
Quindi in una pizzeria contemporanea è impensabile che, di una pizza che pesa nel piatto più di 350 grammi, si mettano in forte evidenza i 20 grammi dei capperi e nulla si dica dei 200 grammi di farina. Serve un’Università della Farina, per raccontare in tavola il grano con la conoscenza del contadino, e la farina stessa con quella del mugnaio".
Piero Gabrieli
fonte: https://www.identitagolose.it/news/view.php?id=146
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BREAD RELIGION
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